29.12.11

DUE PIEGHE E UN RITORNO di Davide Nota @ Nazione Indiana (28.12.2011)


«Il Barocco non connota un’essenza, ma una funzione operativa, un tratto. Il Barocco produce di continuo pieghe. […] Il suo tratto distintivo è dato dalla piega che si prolunga all’infinito.» (Gilles Deleuze, La piega).
L’alternarsi di un metro classico composto di settenari, endecasillabi ed alessandrini può consentirci lo svolgimento potenzialmente infinito della piega.
La riconquista metrica, o di ciascuna variante di linearità ritmica, è la funzione espressiva di uno sguardo obliquo, che attraversa con naturalezza le dimensioni e i piani sovrapposti di un’esperienza storica e personale di passaggio (la fine della fisica moderna, la crisi dell’economia capitalistica, lo smottamento produttivo verso oriente, le premesse ad una New economy o a una guerra mondiale) che da traumatica e rimossa, rigettata come corpo estraneo, deve tornarci limpida e sentimentale.
Il tratto classico è lo sguardo dell’esperienza umana, in cui i generi letterari e gli ambiti della conoscenza (le filosofie decostruzioniste, il neo-positivismo, la fisica quantistica, la semiotica della comunicazione, le scienze politiche, la storia, le esperienze umane e del vero personale, il sogno e l’archetipo, il senso religioso o del sacro) non sono più percepiti come aree separate e non comunicanti ma come regioni di una stessa avventura.
Gli oggetti del dissidio, separati e in conflitto, si incontrano in un unico sentiero. Ma questo “unico” non è il pantano consolatorio del “disordinismo” (definizione di Mario Perniola, in Contro la comunicazione), l’indistinto e pseudo-esoterico lago della pacificazione degli opposti nel Bello che si ha in molta letteratura neoorfico-performativa degli ultimi anni, dove la voce si dilata bulimicamente per amare e riconoscere ogni cosa allo stesso modo, e cioè per non amare né riconoscere niente.
La lingua poetica sarebbe altrimenti un paradigma del linguaggio della comunicazione di massa e in particolare una funzione della sua religiosità “New age” volta ad un’estensione orizzontale di un neutralismo nei confronti della vita e dei suoi conflitti, cioè a quella amputazione dell’umano e censura della dimensione storica che è stata l’estetica attigua alla dottrina della “Fine della Storia” degli anni ’90 ma che a dieci anni dall’11 settembre, una volta esplosa la grande bolla speculativa di Fukuyama (The End of History, 1992), non ha più senso né mandato.
Nel movimento della piega non si dà armonia ma una “continuità della discontinuità”, in cui ogni verso chiama al successivo e in cui ogni fine chiama al quanto non è dato e che manca.
All’interno di questa “piegatura” l’opposizione può esplodere nella sua durezza naturale. Il lavoro di cut-up, indispensabile, serve a trarre dalla melassa della decorazione moderatrice, dalla placenta del caos che ci circonda e ci inonda come una sordina cognitiva, gli oggetti crudi da esporre ad un confronto immediatamente diretto.
Per questo, anche, la geometria del dittico, o del trittico o, nella strofa, la divisione in quartine, terzine e distici, e in generale ogni reiterazione ritmica e formale, sono funzioni di questo confronto finalizzato al conflitto, che può avvenire solo all’interno di un ordine come logica di relazione.
Ora la necessità non è quella di parlare di un contenuto rispetto ad un altro. Il metodo estetico può essere riferito a qualunque oggetto, perché è esso in sé che ci interessa e coinvolge in un mutamento.
Certamente la “piegatura” implica la presa visione di una moltitudine di materiali visivi e linguistici forniti sia dalla realtà (da ogni sfumatura di essa) che dall’artificio culturale tramandato.
Essa cioè non è più inibita dal bipolarismo estetico del Novecento che limita l’espressione a biforcarsi nelle categorie di poetico ed impoetico, lirico e narrativo, personale ed impersonale o diretto e mediato. Senza preferenze di sorta la piega si svolge obliquamente, cogliendo da ciascuna di queste diversità ciò che può servirle a proiettare altrove (in una differenza) il proprio orizzonte e scopo.