27.1.14

Krisis | Orientation

 
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12.1.14

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5.1.14

Alberto Toscano: intervista su masse, potere e post-democrazia nel XXI secolo


Intervista ad Alberto Toscano sui temi di massa, potere e post-democrazia nel XXI secolo, a cura di questo blog ed Obsolete Capitalism (da questo punto in poi OC). Intervista raccolta il 17 Novembre 2013 e tradotta in italiano. Parte dello stesso ciclo sono le seguenti interviste, pubblicate in lingua inglese: Parikka, Newman, Sampson, Choat, Toscano e Berti; ed in italiano: Parikka, Newman, Sampson, Choat, Berti, Parisi & Terranova.


 EDIT: Abbiamo raccolto l'intervista di Alberto Toscano in un unico PDF che si può scaricare o leggere online. Tutte le interviste sul populismo digitale, in lingua italiana, possono essere lette o scaricate QUI.

Masse, potere e postdemocrazia nel XXI secolo


Fascismo di banda, di gang, di setta, di famiglia, di villaggio, di quartiere, d’automobile, un Fascismo che non risparmia nessuno. Soltanto il micro-Fascismo può fornire una risposta alla domanda globale: “Perchè il desiderio desidera la propria repressione? Come può desiderare la propria repressione?
—Gilles Deleuze, Fèlix Guattari, Mille Piani, pg. 271

    Sul micro-fascismo
    OC Partiamo dall’analisi di Wu Ming, esposta nel breve saggio per la London Review of Books intitolato “Yet another right-wing cult coming from Italy”, che legge il M5S e il fenomeno Grillo come un nuovo movimento autoritario di destra.  Come è possibile che il desiderio di cambiamento di buona parte del corpo elettorale sia stato vanificato e le masse abbiano di nuovo anelato - ancora una volta - la propria repressione ? Siamo fermi nuovamente all’affermazione di WilhelmReich: sì, le masse hanno desiderato, in un determinato momento storico, il fascismo. Le masse non sono state ingannate, hanno capito molto bene il pericolo autoritario, ma l’hanno votato lo stesso. E il pensiero doppiamente preoccupante è il seguente: i due movimenti populisti autoritari, M5S e PdL, sommati insieme hanno più del 50% dell’elettorato italiano. Le tossine dell’autoritarismo e del micro-fascismo perché e quanto sono presenti nella società italiana contemporanea?
Alberto Toscano La mia propensione sarebbe di mettere tra parentesi un'invocazione esplicita al fascismo, che preclude una fisionomia adeguata del momento politico che stiamo vivendo, mentre accentuerei il riferimento di Wu Ming alle modalità con le quali il M5S ha cercato di cavalcare, prosciugandole, molte lotte contro l'espropriazione degli spazi pubblici e la spoliazione delle condizioni di vita comuni - come ad esempio, le lotte del movimento No Tav - piegandole a beneficio di un’anti-politica del cittadino arrabbiato controllata da remoto, allontanandole in tal modo dalla loro continuità profonda con altri movimenti anti-sistemici o di estrema sinistra. Lo stesso M5S, in tutta la sua ambiguità ideologica, è un condensatore piuttosto precario di tutte le energie politiche disciolte, distruttive e costruttive, che la crisi ha rigurgitato. Per quanto ripugnante possa essere una figura come quella di Grillo, o per quanto deprimente possa essere la cultura politica di molti dei suoi accoliti, le sollecitazioni e le tensioni che Grillo ha subito fin dal Febbraio scorso - e che lui accompagna con dosi sempre più acute di pomposaggini e spacconate - ci dovrebbero ammonire dall’accreditare scenari eccessivamente lugubri.


A questo proposito, la rottura tra Grillo e i suoi deputati in merito alla revoca della vile legge sull’immigrazione, la Bossi-Fini, è sintomatica. All’opposto del generoso atto di decenza umanista con cui i deputati grillini hanno risposto al clamore suscitato dall'annegamento di centinaia di migranti al largo di Lampedusa - di gran lunga preferibile al giorno di lutto nazionale, profondamente ipocrita, proclamato dal governo Letta - il discorso di Grillo ha dimostrato una volta di più che il nazionalismo, lo sciovinismo e il razzismo sono parte consistente del suo repertorio. Se qualcuno nutrisse ancora dubbi, la sua risposta a tale evento, così come le periodiche farneticazioni contro l'indisciplina del suo movimento apparentemente orizzontale, confermano che Grillo ed il suo marketer in Rete, Casaleggio, sono personaggi di Destra, mentre è improprio definire di ‘destra’ lo stesso M5S.

Riguardo le “tossine” di cui parlate, si sono effettivamente ambientate e richiedono un’opposizione spietata - soprattutto per quanto riguarda le forme endemiche e feroci di razzismo che la crisi ha accelerato - dalla violenza contro i Rom al ‘GO HOME’ che il governo britannico promuove con mezzi pubblicitari issati su appositi vans nelle aree del paese a predominanza nera o asiatica. Non mi affretterei a chiamare fascisti entità come il Manif pour tous in Francia, lo UKIP o i vari movimenti della destra europea - nulla da eccepire, invece, per coloro - Alba Dorata la più pericolosa di tutti - che rivendicano con fierezza tale eredità. Questi fenomeni, e specialmente il razzismo, non sono sotto alcun aspetto ‘micro', nel senso in cui Deleuze e Guattari scrissero 'I gruppi e gli individui contengono micro-fascismi sempre pronti a cristallizzare'.1
Mi chiedo se la teoria del micro-fascismo non sia, sotto un certo aspetto, uno strumento fin troppo elaborato con il quale confrontarsi con le ‘mappature cognitive’ della crisi - elaborate da una piccola borghesia sempre più sdrucciola e sprofondante verso il basso - che identificano precisi colpevoli e permettono di godere di un senso di innocenza e vittimismo (la circolazione delle teorie economiche cospirative, tra seguaci e parlamentari del M5S, può pertanto suggerire che, per parafrasare Fredric Jameson, Grillo è uno spacciatore della “mappatura cognitiva del povero”). Nonostante si attraversino interregni, come quello attuale, in cui i 'socialismi degli stolti' sono destinati a fermentare, si può evidenziare, con rinnovata speranza, come l'inserimento certo ambivalente, nel programma del M5S, di un orientamento che tende ai bisogni sociali comuni, indichi la presenza in Italia di un inconscio politico che - nonostante le sconfitte e i suicidi delle sinistre ufficiali e movimentiste - potremmo definire come ‘micro-comunista’.
    1919, 1933, 2013. Sulla crisi
    OC  Slavoj Zizek ha affermato, già nel 2009,  che quando il corso normale delle cose è traumaticamente interrotto, si apre nella società una competizione ideologica “discorsiva” esattamente come capitò nella Germania dei primi anni ’30 del Novecento quando Hitler indicò nella cospirazione ebraica e nella corruzione del sistema dei partiti i motivi della crisi della repubblica di Weimar. Zizek termina la riflessione affermando che ogni aspettativa della sinistra radicale di ottenere maggiori spazi di azione e quindi consenso risulterà fallace in quanto saranno vittoriose le formazioni populiste e razziste, come abbiamo poi potuto constatare in Grecia con Alba Dorata, in Ungheria con il Fidesz di Orban, in Francia con il Front National di Marine LePen e in Inghilterra con le recentissime vittorie di Ukip. In Italia abbiamo avuto imbarazzanti “misti” come la Lega Nord e ora il M5S, bizzarro rassemblement che pare combinare il Tempio del Popolo del Reverendo Jones e Syriza, “boyscoutismo rivoluzionario” e disciplinarismo delle società del controllo. Come si esce dalla crisi e con quali narrazioni discorsive “competitive e possibilmente vincenti”? Con le politiche neo-keynesiane tipiche del mondo anglosassone e della terza via socialdemocratica nord-europea o all’opposto con i neo populismi autoritari e razzisti ? Pare che tertium non datur.
AT Dobbiamo essere molto prudenti, soprattutto in Italia, nel prestarci a moti irrefrenabili di risa, anche solo come passatempo, per le assurdità propagate dalla Destra. Ahimè, ‘Una risata vi seppellirà’, il celebre motto della sinistra radical degli anni Settanta, si è avverato di nuovo e nel momento sbagliato. Una politica anti-capitalista, purtroppo, non può operare, a differenza dei propri avversari, a un livello puramente discorsivo o narratologico, vale a dire ‘ideologico’ – questa è l'accezione di populismo che, a mio parere, così come viene presentata nell'ambito del pensiero post-marxista e dei teorici della democrazia radicale, presenta le maggiori limitazioni. Grillo può avvantaggiarsi dell’inconsistenza della sua operazione discorsiva, tenendo insieme così i voti e le aspirazioni di una gamma eterogenea di elettori - orfani sia della sinistra sia della destra - mentre per la Sinistra sarebbe disastroso pensare il proprio compito solo nell’elaborazione di una 'narrazione migliore'. Non sto negando che visioni del mondo e parole d'ordine, come ad esempio 'Non pagheremo la vostra crisi' , ‘Noi siamo il 99 %', non siano un elemento indispensabile della politica ma, in contrasto con le forze di Destra, la cui radicalità discorsiva è accompagnata da una fondamentale acquiescenza verso le strutture di base del potere sociale (in Grillo, ad esempio, il legame tra nazionalità, cittadinanza e diritti sociali), la sfida per una reale politica anti-sistemica è di combinare una strategia di trasformazione delle relazioni sociali abbinata alla capacità di difendere e plasmare gli interessi della classe lavoratrice e degli strati più poveri della popolazione. Sebbene siano radicati in profonde strutture fobiche e proiettive, il razzismo e il classismo, che hanno reso possibili le vittorie della destra contemporanea, si basano molto sulla capacità di presentarsi come una sorta di avvocato biopolitico dei ‘perdenti’ della crisi – tant’è vero che alcuni dei gruppi esplicitamente fascisti, da Casa Pound ad Alba Dorata, hanno adottato precisamente questo registro di offerta di ‘servizi pubblici’ (occupazioni di case, ronde securitarie, etc) alle popolazioni bianche, ‘nazionali’. Sarebbe inappropriato, a mio avviso, definire i regimi di austerità nord-atlantici come neo-keynesiani - quando il neo-liberismo esistente ha potuto rompere con la dottrina neo-liberale è sempre stato felice di farlo - in quanto i salvataggi bancari, le facilitazioni quantitative e la riduzione delle sovvenzioni pubbliche appartengono tutti a quel settore non uniforme, ma ultimamente del tutto omogeneo, di strategie degli stati capitalisti al fine di socializzare le perdite e privatizzare i guadagni. Contrariamente alle euforiche dichiarazioni, rivelatesi poi effimere, di morte del neo-liberismo e profferte da persone troppo veloci nel vedere epoche ed eventi dietro ogni angolo, dovremmo essere più pazienti e riconoscere la notevole capacità del capitalismo di autoriprodursi costruendo le nostre analisi di riconfigurazione sociale a partire dalla stessa capacità riproduttiva – il 'neoliberismo', se ancora vogliamo usare il termine, non si riproduce primariamente come racconto o come credo in senso strettamente cognitivo, ma piuttosto come una serie di dispositivi sociali e di ‘astrazioni reali’ che ci governano, per molti versi, a prescindere dalle nostre palesi adesioni.
A questo proposito una valutazione più sobria del nostro presente dovrebbe rileggere i dibattiti sul neo-liberalismo nei termini del populismo autoritario avanzato da Stuart Hall, o considerare - secondo l’ottica di Paul Mattick Jr. - come, sia l’idea di uno ‘stato snello’ profetizzato2 dai guru neoliberisti, sia le ricette neo-keynesiane per la ripresa, offuschino le dinamiche di crisi del capitalismo, illudendoci che nuove narrazioni o normative politiche possano in qualche modo allontanare come per magia il fatto che devastanti svalutazioni del potere del lavoro-vivo e del nostro ambiente sia dato che sociale - il capitale fisso - siano dimensioni ineluttabili di un sistema guidato dalla produzione imperativa del plusvalore.
    Sul popolo che manca
    OC Mario Tronti afferma che “c’è populismo perché non c’è popolo”. Tema eterno, quello del popolo, che Tronti declina in modalità tutte italiane in quanto “le grandi forze politiche erano saldamente poggiate su componenti popolari presenti nella storia sociale: il popolarismo cattolico, la tradizione socialista, la diversità comunista. Siccome c’era popolo, non c’era populismo.” Pure in ambiti di avanguardie artistiche storiche, Paul Klee si lamentava spesso che era “il popolo a mancare”. Ma la critica radicale al populismo - è sempre Tronti che riflette - ha portato a importanti risultati: il primo, in America, alla nascita dell’età matura della democrazia; il secondo, nell’impero zarista, la nascita della teoria e della pratica della rivoluzione in un paese afflitto dalle contraddizioni tipiche dello sviluppo del capitalismo in un paese arretrato (Lenin e il bolscevismo). Ma nell’analisi della situazione italiana ed europea è tranchant: “Nel populismo di oggi, non c’è il popolo e non c’è il principe. E’ necessario battere il populismo perché nasconde il rapporto di potere”.L’abilità del neo-populismo, attraverso l'utilizzo spregiudicato di apparati economici-mediatici-spettacolari-giudiziari, è nel costruire costantemente  "macchine di popoli fidelizzati” più simili al “portafoglio-clienti” del mondo brandizzato dell’economia neo-liberale. Il "popolo" berlusconiano è da vent’anni che segue blindato le gesta del sultano di Arcore; il "popolo" grillino, in costruzione precipitosa, sta seguendo gli stessi processi identificativi totalizzanti del “popolus berlusconiano”, dando forma e topos alle pulsioni più deteriori e confuse degli strati sociali italiani. Con le fragilità istituzionali, le sovranità altalenanti, gli universali della sinistra in soffitta (classe, conflitto, solidarietà, uguaglianza) come si fa popolo oggi? E’ possibile reinventare un popolo anti-autoritario? E’ solo il popolo o la politica stessa a mancare?
AT Il populismo è un concetto talmente denso - uno dei termini preferiti da quelle élites che gestiscono la crisi e che desiderano limitare e porre termine alle azioni anti-sistemiche - che si dovrebbe usare con estrema cautela. Dalla Russia zarista agli Stati Uniti della fine del XIX secolo, per giungere all’America Latina del XX e XXI secolo, potremmo identificare, in termini generici, un populismo di 'sinistra' che esprime un’opposizione al dominio sfruttatore al di fuori di ben definiti antagonismi di classe (perché la disuguaglianza che voi menzionate non ha dato luogo a borghesie o proletariati ideal-tipici). La domanda che tali populismi formulano riguarda in primo luogo, per quanto mi concerne, il problema di come definiamo l’antagonismo e il settarismo, e solo in un secondo momento la questione della rappresentanza politica e della collettività (“il popolo"). Potremmo forse vedere il 'populismo' non come la matrice invariante, ripetitiva della soggettivazione politica (la tendenza di Laclau e altri), ma come una fase presente in ogni movimento di opposizione emancipatrice - ma è una fase che richiede critica e trascendenza, in particolare, per una delle ragioni che proponete: la tendenza, nei movimenti populisti, di trattare 'il popolo' come innocente, sano, vittima dei saccheggi di una minoranza parassitaria. Contro questa ideologia dell’innocenza offesa, della ‘brava gente’, dobbiamo affermare con forza l'eredità molto più conflittuale di una ‘dialettica’ politica che lotta contro la tentazione del moralismo e non fonda l’antagonismo sulla superiorità etica. Oppure, come Franco Fortini scrisse: ‘Tra quelli dei nemici, scrivi anche il tuo nome’.3 La politica é, per molti aspetti, una questione di decisione e demarcazione tra noi e loro, ma nel momento in cui il 'noi' s’identifica con la sostanza etica del Bene, ciò significa che siamo entrati in una traiettoria pericolosa. Più in generale, sono stato recentemente colpito da una specie di tentazione neo-giacobina in discussioni di politica comunista - e vorrei affrontare qui un caso indicativo, la difesa della 'sovranità del popolo' elaborata da Jodi Dean nel suo libro The Communist Horizon.
Alcune precisazioni in merito. In primo luogo, non ho alcun dubbio che l'erosione della sovranità popolare sia uno degli aspetti distintivi dell’attuale fase che stiamo vivendo e della gestione capitalistica della crisi finanziaria in particolare. Il recupero e, forse, la  reinvenzione della sovranità popolare contro le macchinazioni odiose del 'debito sovrano' in Grecia, in Spagna e altrove, è un importante snodo politico da sviluppare. In secondo luogo, Jodi Dean è attenta a distanziarsi da qualsiasi versione rotonda e organica del ‘popolo’, come quella che possiamo incontrare dietro al problematico termine di ‘populismo’. Anche con queste riserve in mente, non riconosco alla 'sovranità del popolo' di essere una determinante intrinseca del comunismo, che è probabilmente il motivo per cui mi sforzo di vedere lo slancio galvanizzante dell’assemblearismo popolare e l'insurrezione come testimonianza dell'idea che il comunismo è una 'forza attuale, sempre più potente'.4 Vorrei brevemente spiegare perchè.

Ci sono sostanzialmente due tendenze nel modo in cui si concepisce il rapporto tra comunismo ed i precedenti movimenti di emancipazione. Una tesi di continuità definisce il primo - di cui il tardo Georg Lukács fu il più capace interprete teorico e Palmiro Togliatti il più eminente esecutore - che vede il movimento comunista raccogliere le bandiere che la borghesia ha abbandonato nel fango; la rivoluzione comunista assimila, vale a dire incorpora in un più ampio progetto, la rivoluzione borghese. Questa tendenza sostanzialmente conserva i concetti fondamentali della tradizione giacobina, radicale e liberale, in particolare il popolo, lo stato e la legge.

La seconda tendenza - di cui credo i due testi fondamentali siano ‘Critica al programma di Gotha’ di Marx e la glossa di Lenin in ‘Stato e rivoluzione’, ma anche gran parte della tradizione eretica della sinistra comunista e la corrente di pensiero della cosiddetta “critica del valore5, dagli anni '70 in poi - pone una discontinuità radicale tra il comunismo e il radicalismo politico della tradizione borghese. Sottolinea l'abolizione della forma-valore e l’estinzione dello Stato. Qui il principio di che cosa sia il comunismo è infatti alto - ed è per questo che Lenin dovette riconoscere nei primi anni ‘20 del secolo scorso che la Russia era ancora, dopo la rivoluzione, una società capitalista, anche se governata dai comunisti (gli stessi che dovettero ripristinare il capitalismo, con la NEP, sotto l’onta della disfatta). Questa seconda tendenza non nega il valore progressivo, in determinati momenti, della sovranità popolare, ma si propone di transvalorizzarla, per così dire, piuttosto che rimuoverla, dal controllo dei lavoratori - un termine che non credo possa essere trattato come sinonimo di sovranità popolare, pena la sua perdita di specificità storica.

Questo transvalutazione comporta, a mio parere, un’altra cruciale distinzione: tra le concezioni radicali e comuniste di eguaglianza. Il comunismo non è solo una eguaglianza più perfetta, proprio nella misura in cui cerca anche di capovolgere la base delle concezioni più illuminate di eguaglianza, vale a dire i diritti della persona fondati sulla equiparazione degli individui che lavorano sotto il criterio del valore e la regola della proprietà. Qui la questione dello Stato è fondamentale: pur essendo luogo di vittorie notevoli, lo Stato, se fondato sulla sovranità popolare, si basa anche, o soprattutto, su rivendicazione indirizzate all'apparato rappresentativo (qui sottolineo la mia simpatia per la lettura di Jodi Dean del trend di “critica della rappresentanza”). Questa tesi, di legittimità, è ciò che gli permette di reprimere le persone in nome del Popolo, in base a un meccanismo che, pur trovandolo osceno, è molto difficile da contrastare.

Nei limiti in cui lo Stato, sotto il capitalismo, serve a fornire un fulcro unitario di una identità trans-classista, e lo fa attraverso l'idea della sovranità popolare, rimane al meglio un fenomeno ambivalente. Sebbene la richiesta di uno stato per tutto il popolo può essere radicale, anche di rottura (dalla costituzione “progressiva” italiana del dopoguerra  alle lotte contemporanee dei Palestinesi Israeliani per la piena cittadinanza) e l'aspetto interclassista non ha bisogno di fungere, anche se spesso lo fa, da dispositivo del dominio di classe, è contro, o per lo meno, oltre l'idea di sovranità e di Popolo (raramente districabile dalla cittadinanza, identità e privilegi, di uno stato) che il comunismo ha scommesso la sua pretesa di essere diverso sia dal liberalismo radicale sia dalla socialdemocrazia: entrambi, sono felice di riconoscere, sembrano autentici fari di emancipazione nel momento attuale.

La proposta di una costituente piuttosto che di un popolo costituito, o la demarcazione di una sovranità popolare che superi lo Stato negli spazi comparenti i corpi assembleari, come descritto nel recente articolo di Judith Butler 'Noi, il Popolo: Riflessioni sul diritto di riunione', non sembra davvero trascendere il rapporto intrinseco - ancora una volta, non privo di ambiguità o di potenzialità progressive - tra lo Stato capitalista e la sovranità popolare. Lo Stato, nella sua trascendenza, assorbe la divisione del popolo nella sua unità, più e più volte - creando una distinzione verticale tra le persone rappresentate e le persone nel loro 'stato di esclusione' (questa è la forza della “critica della rappresentazione” di Alain Badiou). A questo proposito ritengo che, a causa delle virtù del populismo tattico o perfino strategico, la divisione tra ricchi ed 'il resto di noi' rischia di ripetere i pericoli di ciò che potremmo definire ‘l’orizzonte popolare'. In primo luogo, perché per rimanere al livello della disuguaglianza in sé, del divario tra l’1% e il 99%, si trascura che quando la classe operaia combatte nel dominio della distribuzione 'Non deve dimenticare che essa lotta contro gli effetti, ma non contro le cause di questi effetti, che essa può soltanto frenare il movimento discendente, ma non mutarne la direzione; che essa applica soltanto dei palliativi, ma non cura la malattia'.6

Il comunismo non è semplicemente una lotta contro i ricchi, e non può, per ragioni analitiche e strategiche, trattare gli sfruttati come un gruppo omogeneo. E’ una lotta per abolire i rapporti stessi che ci producono come soggetti quali siamo; uno degli aspetti della narrazione discorsiva sul 'resto di noi'  è la sua auto-necessità - come fosse la richiesta iniziale per un torto subito -  e la conseguente neccessità di annullamento, soprattutto quando il ‘resto di noi’ si prefigura come vittima più o meno innocente del capitale.
In secondo luogo, per mantenere un'idea puramente politica del noi, sia nell’unità che nella divisione, si trascura il carattere profondamente politico delle divisioni sociali, soprattutto di classe e razza. Il popolo è un nome quasi sempre ombreggiato da aggettivi nazionali che non riescono a contenere in sè le proprie storie di sottomissione, ossia della divisione orizzontale dei popoli all’interno degli stessi stati (come puntualizza Sadri Khiari nel suo saggio 'Le peuple et le tiers-peuple”' quando mostra che i cittadini francesi di origine africana appartenenti alla classe operaia, in genere, non si considerano o non sono considerati parte del popolo). Sebbene lo stato, il popolo e la sovranità rimangano domini critici per qualsiasi strategia che vorrebbe definirsi comunista, quest'ultima regge o cade come una tradizione politica distinta per l'abolizione della forma del valore e lo smantellamento correlativo dello Stato, per essere sostituiti con una organizzazione delle risorse e delle attività e delle forme istituzionali per le quali la tradizione moderna di sovranità non può servire da modello. Anche se può fare uno vuole rifiutare , alla fine , penso che si debba mantenere la differenza specifica del comunismo vis-à-vis del radicalismo, del giacobinismo, del socialismo di stato, della socialdemocrazia, e delle altre tradizioni nell’ampio alveo della Sinistra.
    Sul controllo
    OC Gilles Deleuze nel Poscritto delle Società di Controllo, pubblicato nel maggio del 1990, afferma che, grazie alle illuminanti analisi di MichelFoucault, emerge una nuova diagnosi della società contemporanea occidentale. L’analisi deleuziana è la seguente: le società di controllo hanno sostituito le società disciplinari allo scollinare del XX secolo. Deleuze scrive che “il marketing è ora lo strumento del controllo sociale e forma la razza impudente dei nostri padroni”. Difficile dargli torto se valutiamo l’incontrovertibile fatto che, dietro a due avventure elettorali di strepitoso successo - Forza Italia e Movimento 5 Stelle - si stagliano due società di marketing: la Publitalia 80 di Marcello Dell’Utri e la Casaleggio Asssociati di Gianroberto Casaleggio. Meccanismi di controllo, eventi mediatici quali gli exit polls, sondaggi infiniti, banche dati in/penetrabili, data come commodities, spin-doctoring continuo, consensi in rete guidati da influencer, bot, social network opachi, digi-squadrismo, echo-chambering dominante, tracciabilità dei percorsi in rete tramite cookies: queste sono le determinazioni della società post-ideologica (post-democratica?) neoliberale. La miseria delle nuove tecniche di controllo rivaleggia solo con la miseria della “casa di vetro” della trasparenza grillina (il web-control, of course). Siamo nell’epoca della post-politica, afferma Jacques Ranciere: Come uscire dalla gabbia neo-liberale e liberarci dal consenso ideologico dei suoi prodotti elettorali? Quale sarà la riconfigurazione della politica - per un nuovo popolo liberato - dopo l’esaurimento dell’egemonia marxista nella sinistra?
AT Non sono sicuro di cosa si intenda qui per 'esaurimento dell’egemonia marxista'. Se ci si riferisce al fatto che le categorie e le forme organizzative della Prima, Seconda e Terza Internazionale non orientino più la politica della sinistra, allora è una stanchezza che possiamo datare, al più tardi, agli anni Settanta del secolo scorso, anche se, come Fredric Jameson ha opportunamente osservato, i post-marxismi germogliano ad ogni crisi del capitale (“Cinque tesi sul marxismo realmente esistente”). Questa perdita di egemonia politica è un semplice fatto, ma non credo che possiamo trarne alcuna conclusione lineare né sulle categorie (in particolar modo) nè nelle forme organizzative associabili al marxismo (ad esempio le associazioni sindacali, i partiti, gli scioperi che non sono mai stati, onestamente, prodotti diretti del marxismo). C’è qualcosa di estenuante anche nella nozione diffusa che ciò di cui abbiamo particolarmente bisogno è una nuova narrazione, un nuovo paradigma per rompere con l’attuale 'consenso ideologico'.
Il problema non è tanto la rottura con la consapevole convinzione nel capitalismo o nel neo-liberismo, quanto con il profondo radicamento della nostra vita quotidiana nei dispositivi materiali di riproduzione capitalistica: la nostra sudditanza al salario, al credito, alla proprietà, all’assicurazione, ecc. Si tratta però di pratiche politiche-economiche, e non (principalmente) di narrazioni o di visioni del mondo. Non c’è carenza di istanze di antagonismo collettivo nel mondo esterno (vedi il sito di Alain Bertho Anthropologie du présent per un conteggio aggiornato della nostra 'età delle rivolte’, o il China Labour Bulletin, o i report dell’agenzia di assicurazione marittima The Strike Club, se dubbioso del fatto che NON viviamo assolutamente in un'era post-politica, 'dopo' la lotta di classe). La nostra difficoltà risiede molto più nel radunare l'energia, la costanza e l’inventiva all’interno di una pratica politica collettiva piuttosto che nel rompere con la presunta morsa capillare dell'ideologia. Più che mettere in discussione la presa ideologica di un sistema che, a mio parere, non dipende dal consenso bensì dal paradigma quotidiano del pensarci complici dello sfruttamento nostro ed altrui, occorre partire dai movimenti intorno ai bisogni sociali e dalle richieste che sono sorte contro l'austerità - le mobilitazioni contro la chiusura degli ospedali, le piattaforme collettive contro gli sfratti delle case, ecc - e pensare a come centralizzare e trasformare tutto ciò in una sfida al dominio capitalista.
    Sulla “googlization” della politica; l’aspetto finanziario del populismo digitale
    OC
     
    La prima decade del XXI secolo è stata caratterizzata dall'insorgenza del neo-capitalismo definito "cognitive capitalism"; in questo contesto un'azienda come Google si è affermata come la perfetta sintesi del web-business in quanto non retribuisce, se non in minima parte, i contenuti che smista attraverso il proprio motore di ricerca. In Italia, con il successo elettorale del M5S, si è assistito, nella politica, ad una mutazione della categoria del prosumer dei social network: si è creata la nuova figura dell'elettore-prosumer, grazie all'utilizzo del blog di Beppe Grillo da parte degli attivisti - che forniscono anche parte cospicua dei contenuti - come strumento essenziale di informazione del movimento. Questo www.bellegrillo.it è un blog/sito commerciale, alternativo alla tradizione free-copyright del creative commons; ha un numero altissimo di contatti, costantemente incrementato in questo ultimo anno. Questa militanza digitale produce introiti poiché al suo interno vengono venduti prodotti della linea Grillo (dvd, libri e altri prodotti editoriali legati al business del movimento). Tutto ciò porta al rischio di una googlizzazione della politica ovvero ad un radicale cambio delle forme di finanziamento grazie al "plusvalore di rete", termine utilizzato dal ricercatore Matteo Pasquinelli per definire quella porzione di valore estratto dalle pratiche web dei prosumer. Siamo quindi ad un cambio del paradigma finanziario applicato alla politica? Scompariranno i finanziamenti delle lobbies, i finanziamenti pubblici ai partiti e al loro posto si sostituiranno le micro-donazioni via web in stile Obama?  Continuerà e si rafforzerà lo sfruttamento dei prosumer-elettori? Infine che tipo di rischi comporterà la “googlization della politica”?

AT Essendo questo un fenomeno su cui non ho alcuna conoscenza reale il mio commento non può che essere impressionistico. A rischio di passare per un reazionario technofobico, credo che i meccanismi di sfruttamento finanziario del desiderio comune di ‘poter decidere’ e ‘contare’ (la politica del ‘Mi piace’) aumenteranno in intensità e qualità algoritmica, ma non vi è nulla di positivo nella figura dell’elettore-prosumer ; la metafisica politica dei social media (piuttosto che l’uso molto limitato, anche se talvolta efficace, che ne è fatto) che ha gestito la raffigurazione fuorviante delle rivolte in Egitto ed in Tunisia, o il narcisismo del M5S, è un ostacolo allo sbocciare di forme di azione politica adeguate al presente. Parlando di 'googlization' della politica, la commedia britannica distopica del 1970 The Rise and Rise of Michael Rimmer7 ci offre una felice allegoria, poichè collega l’alienante pseudo-pratica del “click-attivismo” con il suo rovescio, il populismo autoritario. La critica di questa interpassività seriale della rappresentanza elettorale non può essere effettuata attraverso fantasie di emancipazione digitale.
    Sul populismo digitale, sul capitalismo affettivo
    OC James Ballard affermò che, dopo le religioni del Libro, ci saremmo dovuti aspettare le religioni della Rete. Alcuni affermano che, in realtà, una prima techno-religione esiste già: si tratterebbe del Capitalismo Affettivo. Il nucleo di questo culto secolarizzato sarebbe un mix del tutto contemporaneo di tecniche di manipolazione affettiva, politiche del neo-liberalismo e pratiche politiche 2.0. In Italia l'affermazione di M5S ha portato alla ribalta il primo fenomeno di successo del digi-populismo con annessa celebrazione del culto del capo; negli USA, la campagna elettorale di Obama ha visto il perfezionarsi di tecniche di micro-targeting con offerte politiche personalizzate via web. La nuova frontiera di ricerca medica e ricerca economica sta costruendo una convergenza inquietante tra saperi in elaborazione quali: teorie del controllo, neuro-economia e neuro-marketing. Foucault, nel gennaio 1976, all'interno dello schema guerra-repressione, intitolò il proprio corso "Bisogna difendere la società". Ora, di fronte alla friabilità generale di tutti noi, come possiamo difenderci dall'urto del capitalismo affettivo e delle sue pratiche scientifico- digitali ? Riusciremo ad opporre un sapere differenziale che - come scrisse Foucault - deve la sua forza solo alla durezza che oppone a tutti i saperi che lo circondano? Quali sono i pericoli maggiori che corriamo riguardo ai fenomeni e ai saperi di assoggettamento in versione network culture?
AT Un primo tentativo di difesa consiste nel fronteggiare la tendenza ad amplificare le dinamiche interne di innovazione del capitalismo alle nostre categorie apparentemente critiche o, in maniera simile, ad accettarne le mire di dominio totale, così come sono, sul nostro conscio ed inconscio. Sia chiaro: l’estrazione (mining) delle emozioni e delle relazioni per il mero profitto ha raggiunto livelli impressionanti di ubiquità e raffinatezza, ma ciò non significa che viviamo in un nuovo capitalismo — disinteressato allo sfruttamento del potere del lavoro-vivo, non afflitto dalla contraddizioni tra capitale fisso e circolante, non afflitto dalle traiettorie della crisi, etc.
L’affezione, un termine terribilmente inflazionato all’interno della teoria contemporanea, non ha 'risolto' nessuna di queste contraddizioni. Una delle dimensioni storiche dei movimenti subalterni e rivoluzionari dei lavoratori era quella di riuscire a produrre ambienti di produzione culturale relativamente autonomi, così come forme, contenuti e relazioni sociali in qualche modo alternativi o antagonisti a quelli avversari (una sorta di potere culturale duale, a volte duplicato in un potere duale 'biopolitico', come nel caso dei programmi di assistenza sanitaria delle Pantere Nere). Oltre all’opzione ‘scollegamento” dai social media, non darei per scontato che le nostre interazioni sociali od organizzazioni politiche debbano avvenire all'interno di piattaforme di proprietà, a scopo di lucro o volte a canalizzare la comunicazione in modelli seriali e ridondanti. Senza voler 'socializzare' i social media, allo stesso modo in cui Lenin intenderebbe “socializzare” le banche, si possono riproporre discussioni più sistematiche sulla produzione di sfere pubbliche alternative. Altrimenti il difendersi dalle alienazioni digitali rischia di trasformarsi in una questione terapeutica personale - basti pensare ai servizi di consulenza sul web basati sul come limitare il tempo passato online, o ai programmi per bloccare le compulsioni patologiche di connettività (vedi i software dal nome sintomatico AntiSocial e Freedom).



  1. Gilles Deleuze e Fèlix Guattari - Millepiani, Torino, 1987, pg. 54
  2. Imagineering is a portmanteau combining "imagination" and "engineering". Abbiamo reso il neologismo, o meglio l’amalgama, con “profetizzato”, un participio passato aggetivizzato.
  3. Living labour, i.e. of nerves, muscles, brain, etc. Hence the twofold nature of living labour, as a concrete activity producing a use value and an expense of human labour in general producing exchange value. Marx himself claimed that this twofold nature of labour creating value was its main and most important contribution to economic science.
  4. Franco Fortini: testo poetico intitolato “Traducendo Brecht” (pubblicato nella raccolta “Una volta per sempre, poesie 1938-1973”, Einaudi, Torino 1983 ) : “tra quelli dei nemici/scrivi anche il tuo nome” In inglese è stato tradotto da Michael Hamburger come “Among the enemies' names, write your own too
“Why is communism that name? Because it designates the sovereignty of the people, the rule of the people, and not the people as a whole or a unity but the people as the rest of us, those of us whose work, lives, and futures are expropriated, monetized, and speculated on for the financial enjoyment of the few.
  1. Value critique (Wertkritik), or, following the theorem developed by Roswitha Scholz, a critique of value-diremption (WertabspaltungsKritik), seeks to understand and critique the fundamental mechanisms that govern modern society. Perhaps one of the most influential developments in Marxist thought coming from Germany in the last decades has been the emergence of value critique.
  2. Karl Marx: Salario, Prezzo, Profitto (written in May/June 1865): 14^ capitolo: La lotta tra capitale e lavoro e i suoi risultati (traduzione Edizioni in lingue estere, Mosca - per gentile concessione della Fondazione Ezio Galiano)
  3. The Rise and Rise of Michael Rimmer is a British 1970 satirical film written by and starring Peter Cook, John Cleese, Graham Chapman, and the film's director Kevin Billington (from Wikipedia)


Alberto Toscano, italiano, vive e lavora a Londra. E' Senior Lecturer nel Department of Sociology del Goldsmiths College. E' critico culturale, sociologo, filosofo e traduttore, conosciuto nel mondo anglosassone per le sue traduzioni in lingua inglese di alcune opere di Alain Badiou tra cui Logics of Worlds (Continuum, 2009) ed i Theoretical Writings (Continuum, 2004) di cui è stato anche curatore.  E' stato traduttore, sempre in lingua inglese, di opere di Franco Fortini, Antonio Negri, Furio Jesi. E' editorialista per il The Guardian con interventi legati alla politica italiana. 
L'area di ricerca di Alberto Toscano è basata sul pensiero politico e sociologico contemporaneo, sul marxismo, l'economia politica e la storia delle idee. Negli ultimi tempi ha lavorato sulla genealogia del concetto di fanatismo. E' autore di pubblicazioni tra le quali vanno annoverate The Theatre of Production. Philosophy and Individuation between Kant and Deleuze (Palgrave Macmillan, Uk, 2006), The Italian Difference: Between Nihilism and Biopolitics (Re:press, Uk, 2009) e Fanaticism: The Uses of an Idea (Verso, Uk, 2010).  Toscano è membro del board editoriale della rivista Historical Materialism: Research in Critical Marxist Theory. Scrive regolarmente sulla rivista cult di "Hybrid Media and Cultural Politics After the Net" inglese, Mute. Attualmente sta lavorando con Jeff Kinkle ad un nuovo libro, in uscita presso Zero Books nel 2014, dal titolo di Cartographies of the  Absolute.


Bibliografia
1)  Sul micro-fascismo
Wu Ming
Yet another right-wing cult coming from Italy.
Wilhelm ReichPsicologia di massa del fascismo - Einaudi, 2002 
Gilles Deleuze, Félix Guattari, Mille Piani, Castelvecchi, 2010 
Gilles DeleuzeL’isola deserta e altri scritti, Einaudi, 2007 (cfr. pg. 269, 'Gli Intellettuali e il Potere', conversazione con Michel Foucault del 4 marzo 1972) “Questo sistema in cui viviamo non può sopportare nulla: di qui la sua radicale fragilità in ogni punto e nello stesso tempo la sua forza complessiva di repressione” (intervista a Deleuze e Foucault, pg. 264)

2) Sulla Crisi
Slavoj Zizek
First as Tragedy, then as Farce. Verso, Uk, 2009 (pg. 17) 

3)  Sul popolo che manca
Mario Tronti, 'C’è populismo perché non c’è popolo', in Democrazia e Diritto, n.3-4/2010. 
Paul KleeDiari 1898-1918. La vita, la pittura, l’amore: un maestro del Novecento si racconta - Net, 2004 
Gilles Deleuze, Fèlix Guattari, Millepiani (in '1837. Sul Ritornello' pg. 412-413)

4)  Sul controllo
Jacques Ranciere
Disagreement. Politics and Philosophy, UMP, Usa, 2004

Gilles DeleuzePourparler, Quodlibet, Ita, 2000 (pg. 234, 'Poscritto sulle società di controllo') Saul Newman, 'Politics in the Age of Control', in Deleuze and New TechnologyMark Poster and David Savat, Edinburgh University Press, Uk, 2009, pp. 104-122.

5) Sulla "googlization" della politica
Guy Debord, La società dello spettacolo, 1967 - II sezione - Merce come spettacolo, tesi 42,43,44 e seguenti fino alla 53. 
Matteo PasquinelliGoogle's Pagerank Algorithm, http://matteopasquinelli.com/docs/Pasquinelli_PageRank.pdf 
Nicholas Carr, The Big Switch: Rewiring the World, from Edison to Google (New York: W.W. Norton, 2008) 
6) Sul populismo digitale, sul capitalismo affettivo
Tony D. Sampson, Virality, UMP, 2012
Michel Foucault, Security, Territory and Population, Palgrave and Macmillan, 2009 
Michel Foucault, Society Must be Defended: Lectures at the Collège de France 1975—76, Saint Martin Press, 2003

Dipinto di Stelios Faitakis