14.11.11

Daniele Besomi - Teorie delle crisi e teorie dei cicli (Teoria della crisi V)


(...) Intanto si riconobbe anche (Tooke 1823, I: IV) che le crisi tendano a presentarsi a ‘ondate’, descritte essenzialmente come alternanza di periodi di crescita dei prezzi seguiti da improvvisi e violenti cali, anziché da graduali oscillazioni rapidamente convergenti verso il livello naturale dei prezzi, come postulato dall’economia classica. Seguirono ben presto i primi tentativi di descrivere la morfologia di queste crisi ricorrenti tramite l’individuazione delle fasi attraverso cui esse passano. Le prime osservazioni in proposito si limitavano a contrapporre periodi di prosperità a periodi di difficoltà: le coppie prosperity/distress o prosperity/depression si ritrovano frequentemente nei primissimi decenni dell’Ottocento. A questo punto le fasi intermedie, i punti di svolta, non erano presi in considerazione. Nel 1837 Samuel Lloyd Jones (in seguito Lord Overstone), formulò – in un passaggio spesso citato – una descrizione del ciclo in 10 fasi: quiete, miglioramento, fiducia crescente, prosperità, eccitazione, eccesso di attività mercantile4, convulsione, panico, disagio, stagnazione e di nuovo quiete. Overstone, tuttavia, si limitò ad elencare questi stadi senza discuterli. Più articolata la caratterizzazione di Mountifort Longfield, che nel 1840 non solo rappresentò il suo ciclo di 10 fasi in forma circolare (Fig.1) ma discusse accuratamente ciascuna di esse e il passaggio da ogni fase a quella successiva. Come più tardi osservò Schumpeter, una descrizione in 10 fasi non ha una grande utilità analitica, cosicché non tardarono a farsi largo descrizioni più sintetiche. Nel 1840 l’agronomo francese Jean-Edmond Briaune distinse 3 fasi (crisi, ripresa degli affari, sviluppo commerciale (...)


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