13.11.11

L'altra scena della pittura - Daniel Defert (Aut Aut n. 351)



La presenza della pittura nell’opera di Foucault ha suscitato interesse, soprattutto a partire dall’esegesi tanto estetica quanto filosofica di Las Meninas che apre Le parole e le cose. Si tende però a dimenticare che anche Storia della follia si apre con la descrizione della Nave dei folli di Hieronymus Bosch. L’edizione principale del 1961, poco tradotta, tranne che in Italia e in Giappone, e in Inghilterra solo nel giugno 2006, dunque scarsamente conosciuta, contiene lunghe digressioni su quadri di Bosch, Brueghel, Thierry Bouts, Dürer, Goya e Van Gogh. Tutto si svolge come se nell’opera di Foucault esistessero due modalità di discorso sulla pittura, una rottura a partire dal testo su Velázquez e il passaggio da una semantica esistenziale a un’analitica del significante, un significante di cui egli si libera a partire dagli anni settanta.
Foucault introduce la presenza della follia nella società occidentale del XV secolo a partire dal quadro di Bosch che a sua volta illustra il canto XXVII del Narrenschiff di Brandt del 1492, e che esprime “la situazione liminare del folle all’orizzonte dell’inquietudine dell’uomo medievale”. La pittura e la letteratura “simbolizzano tutta un’inquietudine, apparsa improvvisamente all’orizzonte della cultura europea verso la fine del Medioevo”. Foucault sviluppa ampiamente l’argomento: “Fino alla seconda metà del XV  secolo, o ancora un po’ oltre, il tema della morte è il solo a regnare sovrano. La fine dell’uomo, la fine dei tempi, prendono l’aspetto delle pesti e delle guerre. Ed ecco che, negli ultimi anni del secolo, questa grande inquietudine gira su se stessa; la derisione della follia prende il posto della morte e della sua serietà. Il terrore di fronte a questo limite assoluto della morte si interiorizza in una continua ironia, la vita stessa non è altro che fatuità, la follia è la morte già presente”. E ancora: “La sostituzione del tema della follia a quello della morte non segna una rottura ma piuttosto una torsione all’interno della stessa inquietudine. È sempre in causa il nulla dell’esistenza, ma questo nulla non è più considerato come termine esterno e finale ma è riconosciuto dall’interno, come la forma continua e costante dell’esistenza”. (...)

Tratto parzialmente da Daniel Defert - L'altra scena della pittura - pg. 17-18 (Aut Aut n.351)


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