25.2.12

Gilles Deleuze: Sulle forme di espressione e di contenuto in Michel Foucault



"(...) Certo, cose e parole sono termini molto vaghi per designare i due poli del sapere, e Foucault dirà che il titolo Le Parole e le cose deve essere inteso ironicamente. Il compito dell'archeologia è innanzitutto di scoprire una vera e propria forza di espressione che non deve confondersi con nessuna unità linguistica, qualunque essa sia: significante, parola, frase, proposizione, atto linguistico. Foucault è critico soprattutto rispetto al significante, "il discorso si annulla nella sua realtà ponendosi a disposizione del significante". Abbiamo visto come Foucault avesse scoperto la forma di espressione all'interno di una concezione molto originale dell'enunciato, in quanto funzione che interseca le diverse unità tracciando una diagonale più vicina alla musica che a un sistema significante. Bisogna quindi fendere, aprire le parole, le frasi o le proposizioni, per estrarne gli enunciati, come faceva Raymond Roussel nell'inventare il suo "procedimento". Ma un'operazione analoga è necessaria per la forma di contenuto; quest'ultimo non è un significato né l'espressione di un significante. E non è nemmeno uno stato di cose, un referente. Le visibilità non si confondono con gli elementi visivi o più generalmente sensibili; qualità, cose, oggetti, composti d'oggetto. A questo proposito Foucault costruisce una funzione non meno originale dell'enunciato. Bisogna fendere le cose, romperle. Le visibilità non sono forme di oggetti, e nemmeno forme che si rivelerebbero nel contatto tra la luce e la cosa, ma forme di luminosità, create dalla luce stessa e che lasciano sussistere le cose e gli oggetti solo come bagliori, luccichii, scintilii. Questo è il secondo aspetto che Foucault ricava da Raymond Roussel, e che forse cercava di trovare anche in Manet. E se nella concezione dell'enunciato ci è parso di rintracciare un'ispirazione musicale più vicina a Webern che alla linguistica, la concezione del visibile sembra pittorica, vicina a Delauney, per il quale la luce era una forma, creava le proprie forme e i propri movimenti. Delauney diceva: "Cézanne ha rotto il vaso, e non bisogna cercare di rincollarlo come fanno i cubisti". Aprire le parole, le frasi e le proposizioni, aprire le qualità, le cose e gli oggetti: il compito dell'archeologia è duplice, come l'impresa di Roussel. Dalle parole e dal linguaggio bisogna estrarre gli enunciati corrispondenti a ogni strato e alle sue soglie, ma bisogna anche estrarre dalle cose e dalla vista le visibilità, le "evidenze" proprie ad ogni strato.(...)"


Gilles Deleuze: "Foucault", pg. 74-75