“The end of something“
recensione di Vladimiro Giacchè al libro "La fabbrica dell'uomo indebitato" di Maurizio Lazzarato (DeriveApprodi)
da Radio Popolare del 07 aprile 2012
recensione di Vladimiro Giacchè al libro "La fabbrica dell'uomo indebitato" di Maurizio Lazzarato (DeriveApprodi)
da Radio Popolare del 07 aprile 2012
Il grande pianista canadese Glenn Gould aprì un suo concerto moscovita parlando dell’autore che stava per eseguire, Johann Sebastian Bach, per mezzo di una definizione straordinaria: “the end of something”, “la fine di qualcosa”. Quel qualcosa era la grande tradizione musicale contrappuntistica.
Anche La fabbrica dell’uomo indebitato di Maurizio Lazzarato, ci parla della fine di qualcosa: la fine dell’epoca in cui il capitale, come dice l’autore, poteva “contare sulla promessa di una futura ricchezza per tutti come negli anni Ottanta”. La crisi iniziata ha aperto una fase nuova, in cui non ci sono più gli “specchietti per le allodole della ‘libertà’ e dell’ ‘indipendenza’ del capitale umano, né di quelli della società dell’informazione o del capitalismo cognitivo”. No. La risposta a questa crisi è diversa, e marca un passaggio di fase: “la svolta autoritaria del neoliberismo sta per farla finita col ‘modello sociale europeo’, perché, come afferma Mario Draghi, non possiamo più permetterci di ‘pagare la gente che non lavora’”. Lazzarato giustamente osserva che “fare della povertà e della precarizzazione una variabile strategica della flessibilità del mercato del lavoro è quanto, dietro il ricatto del debito, sta avvenendo in Italia, Portogallo, Grecia, Spagna, Inghilterra e Irlanda”.
Nella prospettiva dell’autore la fabbrica del debito “è stata pensata e programmata come il cuore strategico delle politiche neoliberiste”. Col debito si è drogato lo sviluppo per 30 anni: consentendo a chi non guadagnava più abbastanza di continuare a consumare, a fabbriche di settori maturi di continuare a vendere, e a padroni in fuga dal manifatturiero di fare soldi comunque con la speculazione. E oggi è ancora il debito, traslato sulla collettività dopo i salvataggi su larga scala del 2008-2009, a fornire al capitale un’occasione d’oro per “riprendere, attraverso politiche di austerità, il controllo sul ‘ sociale’ e sulle spese sociali del Welfare, cioè sui redditi, sul tempo (della pensione, delle ferie, ecc.) e sui servizi sociali che sono stati stati strappati dalle lotte all’accumulazione capitalistica... Dall’altra parte, si tratta di perseguire e approfondire il processo di privatizzazione dei servizi dello Stato sociale, cioè la loro trasformazione in terreno di accumulazione e profitto per le imprese private”. I ‘diritti sociali’ si trasformano in “‘debiti sociali’, che le politiche neoliberiste tendono a loro volta a trasformare in debiti privati”.
Ma anche il ricatto del debito pubblico parte da lontano. Di grande importanza a questo riguardo, nella ricostruzione di Lazzarato, sono le pagine dedicate al ruolo della regola dell’indipendenza della banca centrale, che impedendo il finanziamento del debito pubblico tramite emissione di moneta ha consegnato il debito pubblico degli stati europei nelle manidei mercati finanziari. Del resto Lazzarato insiste più volte, e con ragione, sull’insensatezza della distinzione tra finanza ed economia reale, utilizzando il Marx del III libro del Capitale che vede nella finanza il rappresentante degli interessi del “capitale sociale” (il “capitalista collettivo” di cui parla Lenin ne L’imperialismo).
L’interesse del saggio di Lazzarato nasce non da ultimo dalla prospettiva da cui osserva
questo processo: proponendo “una genealogia e un’esplorazione della fabbrica economica e
soggettiva dell’uomo indebitato”. E servendosi, a questo fine, non solo del Nietzsche della
Genealogia della morale, ma anche di alcune straordinarie pagine dei Manoscritti economico-
filosofici del 1843-44 di Karl Marx.
Lazzarato affronta insomma il problema del debito anche da un punto di vista filosofico, come rapporto di potere e strumento di costruzione di una particolare soggettività: quella dell’uomo indebitato e come tale non soltanto vincolato nella sua libertà d’azione ma anche gravato da un senso di colpa. Nella fase attuale all’orgoglioso “imprenditore di se stesso” che era l’eroe mistificato della fase del liberismo trionfante tiene dietro il debitore depresso e impossibilitato a costruire il proprio futuro. E alla democrazia e alla retorica della libertà si sostituiscono l’“antidemocrazia” e un autoritarismo sempre meno mascherato (aldilà di quanto pensasse lo stesso Foucault, che in effetti viveva e ragionava sulla fase del liberismo trionfante). La crisi odierna è anche “il fallimento del programma politico dell’individualismo proprietario e patrimoniale”.
Per superare in avanti questa crisi che si fa catastrofe (e Lazzarato ricorda opportunamente
con Benjamin che catastrofe è “che tutto continui come prima”) non è però sufficiente rinviare
alle lotte per la cancellazione del debito, come fa l’autore. Occorre un progetto di società
alternativo al capitalismo distruttivo dei nostri giorni. Lazzarato affronta insomma il problema del debito anche da un punto di vista filosofico, come rapporto di potere e strumento di costruzione di una particolare soggettività: quella dell’uomo indebitato e come tale non soltanto vincolato nella sua libertà d’azione ma anche gravato da un senso di colpa. Nella fase attuale all’orgoglioso “imprenditore di se stesso” che era l’eroe mistificato della fase del liberismo trionfante tiene dietro il debitore depresso e impossibilitato a costruire il proprio futuro. E alla democrazia e alla retorica della libertà si sostituiscono l’“antidemocrazia” e un autoritarismo sempre meno mascherato (aldilà di quanto pensasse lo stesso Foucault, che in effetti viveva e ragionava sulla fase del liberismo trionfante). La crisi odierna è anche “il fallimento del programma politico dell’individualismo proprietario e patrimoniale”.