18.5.12

Il valore di scambio della collera di Roberto Ciccarelli Il Manifesto @ 15.01.2008 - Recensione di Ira e Tempo di Peter Sloterdijk



Il valore di scambio della collera 
Roberto Ciccarelli 
Il Manifesto - 15.01.2008


Peter Sloterdijk è un intellettuale che ha capito il segreto del successo. Nato a Karlsruhe in Germania sessantanni fa, figura colossale dai lunghi capelli biondi, scrittura incandescente e gusto coltivato per la provocazione, l'autore di Ira e tempo (Meltemi, pp. 283, euro 21,50) ha tutte quelle doti che non passano inosservate nella società globale dell'informazione. Il filosofo tedesco ha inserito il proprio nome nell'album dei provocatori intelligenti nel 1999, quando è intervenuto in un convegno nel castello di Elmau in Baviera mescolando la filosofia di Martin Heidegger con considerazioni sulle leggi dell`evoluzione, la «riforma genetica» e la «selezione prenatale». Il talento di questi provocatori sta nel flirtare con la tossicità di alcune idee, ad esempio l'eugenetica, senza assecondarla fino in fondo. In quel caso, Sloterdijk ha sostenuto che le biotecnologie annunciano la morte dell’umanesimo di cui si nutre la cultura occidentale e i suoi monoteismi, rivelandone la menzogna costitutiva. Da allora, Sloterdijk ha sviluppato un gusto personale per l’analisi del presente, giungendo ad interrogarsi sulla violenza che, dopo l'11 settembre, si manifesta in forme politiche irrazionali. Un fenomeno inedito, il cui anacronismo disorienta gli spiriti illuministi, mentre la sua recrudescenza teologico-politica eccita quelli conservatori. La malinconia occidentale Dopo gli attacchi dei fondamentalisti islamici di Al Qaeda alle Torri Gemelle, il furore che satura il pianeta non ha più trovato una valvola di sfogo. Potenza dispersa e pericolosa, l’ira gira a vuoto: «Siamo entrati in un’epoca priva di punti di raccolta della collera». Lo dimostra il progetto qaedista, fatto più per seminare il panico in Occidente, dove la malinconia e la depressione hanno preso il posto della collera autentica, che per associare le masse diseredate in un progetto di emancipazione universale o all’avvento del regno divino. L’ira è per Sloterdijk «la forza fondamentale nell’ecosistema degli affetti» che popola i corpi e lementi degli europei sin dall’Iliade, quando Omero la chiamava thymos. Nel corso della modernità, prima il cristianesimo, poi il comunismo, hanno cercato di canalizzarla per trasformarla in energia spirituale e politica. Per Sloterdijk, il cristianesimo e il comunismo hanno organizzato delle «banche dati» per raccogliere l’ira coltivata dai perdenti, assegnandole un quoziente di spiritualità e un valore di redenzione politica capace di rompere il cerchio dell’oppressione e garantire una salvezza in questo o nell’altro mondo. Questa analisi «psico-politica» ha il merito di descrivere tutti i peggiori incubi nel cassetto dei partigiani del liberalismo applicato all’esportazione della democrazia in Medioriente. Per loro il tenore islamico resta un invitato indesiderato al banchetto della democrazia realizzata, un writer che imbratta le facciate delle loro «società aperte». Questa analisi non tiene conto di un ulteriore risvolto psico-politico che svela la tonalità emotiva di queste società: il terrorismo globale è il risvolto paranoico dell’ossessione che spinge i democratici di ogni latitudine occidentale a considerare i writers come terroristi e i diseredati come pericoli perla sicurezza dello stato. L’obiettivo della politica liberale è di sedare la malinconia evocando un nuovo senso dell’autorità e un maggior rispetto dei valori fondamentali della morale o della religione. Tra i suoi effetti, c’è quello di eccitare gli animi dadaisti dei nostrani «atei devoti», i quali sono alla perenne ricerca di un nuovo nemico, e sostengono di averlo trovato negli estremisti islamici e nella «civiltà musulmana». La genealogia dell’ira condotta da Sloterdijk è convincente se intesa nell’ottica di una critica alla psicopatologia delle società postmoderne. Anche il suo progetto di «disintossicare» il pensiero dalle scorie teologico-politiche di matrice monoteista (cristiana e islamica) risponde alla ricerca di una salutare saggezza della vita. Questo paradigma futuribile può essere usato contro il dilagante atteggiamento moral-conservatore ispirato dalla Chiesa cattolica, ma non solo, per il quale si dovrebbe liberare l’uomo dall`ira e dalla rivolta per ritornare ai valori vigenti prima della Rivoluzione francese: speranza, rassegnazione e umiltà. Ciò che non convince è la riabílitazìone del politologo americano Francis Fukuyama e del suo famigerato libro sulla Fine della storia (1992). Ad avviso di Sloterdijk, il terrorismo globale conferma la previsione di Fukuyama perché è «un fenomeno del tutto post-storico. La sua epoca ha inizio quando l’ira degli esclusi si combina con l’industria dell’infotainment in un sistema di teatro della violenza per ultimi uomini». Il terrore non può in nessun caso essere interpretato come un «ritorno della storia» davanti ai nostri televisori. Per questa ragione, egli se la prende con chi, dall`11 settembre, ha deriso quella previsione fatta subito dopo il crollo del Muro di Berlino. L’autore di Ira e tempo non dice però che è stato Fukuyama in persona a tornare sui suoi passi nell’ultimo libro del 2006 America at Crossroads. Sloterdijk, che è un accademico, e per di più geniale provocatore, sa bene quale sventura rappresenta nella sua comunità una presa di posizione contro il buon senso. Uomo attento alla stima dei colleghi, e al buon nome della propria carriera, Fukuyama lo ha capito in ritardo e ha criticato l’amministrazione Bush per la guerra in Iraq, ma anche l’idea che la «fine della storia» indicasse la strada maestra perla democratizzazione dell’intero pianeta. La deriva neoconservatrice Il punto non è né la Storia, né la Democrazia, categorie che verranno ricordate più per il peso delle loro maiuscole che per i sogni d’onnipotenza dei loro apologeti. Chi sostiene la fine della storia e preannuncia l’entrata in un’altra epoca, la post-storia, sa bene di porsi nella posizione dei dominanti, di coloro che hanno il potere di decidere sul calendario degli eventi e sulla loro interpretazione. Fukuyama si è dimesso dai board delle riviste neo-conservatrici, dalle quali ha pontificato per un decennio a partire da una delle più dubbie interpretazioni della filosofia hegeliana di Alexandre Kojève, perché è alla ricerca di una scialuppa di salvataggio dalla deriva teorica e politica dei suoi sodali. Lui resta un conservatore, in attesa di riprendere il posto tra i profeti che annunciano il prossimo avvento dell’Impero. Sloterdijk, che è tedesco, e per fortuna ama Nietzsche, sa bene che la collera dei perdenti ha origine nel risentimento dei potenti. Preso atto del fallimento contingente del riscatto dei dannati della terra, oggi ci sarebbe bisogno di un’analisi della vendetta che i potenti esercitano sugli inermi. Il titolo del nuovo libro potrebbe essere: La collera dei democratici.