1.2.15

I suoni e le cose. Intervista a Fabrizio Tavernelli

Abbiamo rivolto a Fabrizio Tavernelli domande che riguardano alcuni snodi che noi riteniamo decisivi nel rapporto tra i suoni e le cose. Le articolazioni di seguito elencate sono assemblate come flussione di pensieri, condensati in domande e/o ponderazioni che ammiccano complicità, reazioni, correzioni: tale inchiesta insegue nuovi territori acustico-riflessivi da esplorare con la ritrosia o la complicità dell’intervistato. L'intervista é scaricabile in PDF.



I suoni e le cose
Intervista a Fabrizio Tavernelli

"Il disco fonografico, il pensiero musicale, la notazione musicale, 
le onde sonore stanno
tutti l'uno con l'altro in quell'intima relazione di raffigurazione che sussiste
tra linguaggio e mondo. Ad essi tutti è comune la struttura logica
(Come nella fiaba, i due adolescenti, i loro due cavalli e i loro gigli. 
In un certo senso, essi sono tutt'uno)." 
Ludwig Wittgenstein - Tractatus logico-philosophicus (1921)

Designazione: A quali oggetti sono designati i suoni? Perché questi oggetti cambiano nel tempo? È solo il mercato la forza principale che "obbliga" i suoni in un determinato formato? Oppure sono al lavoro "forze" che sono insite dentro al linguaggio musicale stesso?

Arbitrio della rappresentazione: L'artista e' dunque libero di scegliere come rappresentare la propria musica oppure è la musica stessa che sceglie per caso la propria rappresentazione? Una musica che - figlia del proprio tempo - nell’ingenuità del caso fissa i valori reconditi della propria esistenza attraverso i modi e le tecniche di rappresentazione. Pensiamo, come titolo d’esempio, alla stagione felice del punk ‘76 quando Rickenbacker, registrazione live in presa diretta in un garage e formato 45 giri o tape autoprodotto erano un tutt’uno, uno stesso agire/sentire che si auto-rappresentava nella sua forma più genuina e istantanea.

Scienza dell’ordine vs. pratiche nomadi: Sul rapporto tra immaginazione e suono - la costante limitazione del suono dovuta al supporto delle cose in cui è chiusa, catturata la musica. A tal fine, il supporto fonografico in qualsiasi entità rappresentato, si potrebbe definire come strumento della scienza dell'ordine in quanto "taglia" e "compone" l'immaginazione dell'artista e lo costringe ad una forma funzionale all'ascolto, alla fruibilità, al consumo e in ultima istanza a quell'insiemistica totalitaria che viene "surrettiziamente" definita mercato. Una delle "conquiste" dell'elettronica non è anche il suo porsi come opera aperta, sempre ridefinibile attraverso le ripetizioni con variazione dei remix, dei mix, delle version, dei dub plates, degli acappella, dei dubs, del continuum del reworking? L'elettronica - come la musica indiana, come la minimal music di Riley - aperta al mormorio indistinto dell'infinito. La scienza dell'ordine (45 giri, 33 giri, antologia delle hits, live album, etc.) nella sua verità analitica non viene a ledere i principi costitutivi del suono, il suo continuo scansarsi dalle identità prestabilite, dalla sua natura illimitata? Cosa e chi impedisce di cogliere direttamente la purezza del suono, ammesso che tale purezza esista?

Infezione del tempo: il suono è quel luogo inaccessibile dal quale il tempo dell'artista emerge e si fa materia. Che luogo e' questo luogo? Chi e' che lo abita veramente? E’ il tempo dell'artista o è il tempo in se stesso che si auto-rappresenta? Chi infetta chi? È' il tempo che infetta l'artista o è l'artista che infetta il proprio tempo? E queste due possibili infezioni come precipitano nelle "cose" del suono e nelle sue azioni? Qual'e' il fondo confuso che lega tempo, suono, oggetto e ascolto? Ad esempio: la cassetta, il tape rimarrà sempre come "differenza" tra artigianato (indie, New Wave underground, sperimentazione) e mercato dei consumi? L' MP3 e' legato solo alla pratica dello sharing, della pirateria (termine odiosissimo, in odore di moralismo neo-liberale) oppure, dopo il gesto tecnico, e' possibile un suo utilizzo creativo, sperimentale, affine alla sua estraneità alla materia?

Autorialità e Archeologia: Attraverso una lettura “archeologica” delle pratiche che hanno caratterizzato il vostro passato chiediamo una pausa di riflessione sullo status contemporaneo del musicista: nell’attuale proliferazione identitaria dell’autore-musicista come artigiano mediale non si è installato un percorso perverso che ha portato il musicista ad essere l’imprenditore di stesso? -  mimando in tal modo le pratiche in auge al tempo del neo-liberismo selvaggio ovvero la regola non scritta ma in qualche modo obbligatoria di diventare “imprenditore di se stessi” alla stessa stregua di altre “professioni”? La gestione del proprio profilo autoriale non viene a ledere i contorni artistici dei vari progetti che s’inerpicano sul tronco dell’albero-autore? Di nuovo, al tempo del dataismo, della gestione dei propri dati da sè, quali sono i guadagni e le perdite di tali empiriche? Qual’è il rischio, se non quello di bandire le pratiche acustiche che non generano dei ricavi economici?


Fabrizio Tavernelli: La musica e i suoi relativi supporti viene da sempre coinvolta in scoperte, nuove tecnologie e protesi utilizzate dal genere umano.  In particolare la musica, in quanto espressione artistica, mezzo e medium di comunicazione, mette in connessione un proprio interiore con l'esterno, con gli altri umani o se ampliamo le prospettive, diventa uno strumento di esplorazione di altre realtà, di altri stati di coscienza. In ambito di musiche sacrali è un tramite verso dimensioni extraterrene. L'uomo dopo aver sviluppato i linguaggi, dopo aver codificato segni, immagini, concetti, ha sentito il bisogno di estendere la propria memoria, di trovare nuovi contenitori di dati e informazioni oltre al proprio cervello e alla propria memoria. La sua missione antropologica è il potenziamento,  le possibilità espansive, una conoscenza che potesse ambire ad un infinito informatico ad uno spazio illimitato in cui conservare, reperire, catalogare. Dalle culture basate su tradizioni orali, iconografiche, si è giunti a lingue, codici, sistemi che potessero trasmettere conoscenze. Nella musica, prima della notazione, prima della possibilità di scrivere su spartiti, l'opera o una esecuzione era relegata ad una unicità, ad una estemporaneità. Le conoscenze musicali erano insegnate per filo diretto da un individuo a un altro, sia in ambito colto che popolare. Con la rivoluzione industriale, la tecnica, gli studi sull'elettricità e sull'elettromagnetismo, con i primi esperimenti di comunicazione e segnalazione a distanza (telegrafi, sonar, morse, radio) si sviluppò la possibilità di registrare, imprimere su un supporto, suoni e parole. Dal fonografo in poi (scoperto in modo casuale) la musica ha una nuova funzione, può essere riprodotta e duplicata. Il nastro magnetico è un passo successivo che permette una maggiore manipolazione di una registrazione, sia in tempo reale, durante il suo trasferimento e fissaggio, che in un momento successivo. Dunque ora l'intervento, l'azione, non avveniva sullo spartito, in fase di composizione, in fase di scrittura, non era solo relegata all'apprendimento di tecniche per suonare uno strumento. Ora si poteva intervenire su un supporto o su una registrazione. Un approccio “concreto” che prevedeva sconosciuti ambiti di sperimentazione. Passando poi a un approccio diciamo filosofico, concettuale, la musica e i suoi supporti risentono delle esperienze delle avanguardie del 900: dal futurismo al dada-surrealismo. Qui subentra la fuoriuscita da un supporto: dalla tela nell'arte figurativa per giungere al ready-made Duchampiano. Dalle accademie musicali, ai grandi compositori che a inizi del secolo cominciano a porgere l'orecchio alla realtà, al quotidiano, al rumore. Il suono delle macchine, il suono delle prime industrie, il caos bellico, che diventano significante in una composizione. La serializzazione è un altro aspetto epocale. La riproducibilità dell'opera d'arte che ci porta fino alle teorie “pop” warholiane. Ogni periodo, genere, ogni direzione musicale, è in stretto contatto (a volte è documento, fotografia, a volte è reazione, via di fuga) con  il suo tempo, con la vita stessa, ha angolature sociologiche, antropologiche. C'è  inoltre un aspetto che riguarda il modo e gli strumenti con cui si fruisce il suono. Si pensi a come cambi nella fisiologia del suono, nella sua assimilazione, il fatto che una registrazione sia stata compiuta con mezzi analogici o digitali. Il lungo percorso che parte dal vinile, passando per il nastro magnetico, giungendo al compact disc e all'mp3 comporta scarti evolutivi e predisposizioni fisiche dell'ascoltatore.  La ricezione non è solo questione di orecchio, apparato uditivo, è una ricezione sensoriale molto più complessa (si può poi aprire un dibattito se questo processo, nella fase attuale sia evoluzione o involuzione). Se penso alle mie musiche e ai relativi supporti, nei miei primi anni e progetti, la parola che più emerge è “urgenza” visto che la mia fase adolescenziale coincide con il giungere del punk e appena dopo della new-no-wave, della prima elettronica, del post-punk. In quel periodo nascono le prime etichette indipendenti e si crea una rete di distribuzione e divulgazione alternativa che nasce come risposta, secca rottura ai meccanismi obsoleti delle grandi etichette discografiche. Artisticamente poi c'è un ricongiungimento con  le correnti di arte e pensiero più radicali, estreme, anti-accademiche, è uno sputo in faccia alle grandi produzioni, al mondo barocco dell'establishment, è una risposta veemente alle degenerazioni di certo progressive, di certo rock prossimo all'estinzione come i dinosauri. Non è un caso che musicisti più attenti e curiosi, vedi David Bowie, Brian Eno, Robert Fripp, Robert Wyatt, Lou Reed, John Cale, pur venendo da decenni precedenti siano diventati parte di questa rivoluzione e sperimentazione, insieme alle giovani band di fine settanta, primi ottanta. Questa congiuntura tra vecchi e nuovi ricercatori è un momento cruciale nel mio background. Il “Do it Yourself” del punk, il nascere delle prime indies come Rough Trade, le estetiche delle fanzines, erano per noi ragazzini un esempio di indipendenza e di appropriazione di nuovi spazi. Contemporaneamente aprono piccoli studi di registrazione, ricavati da garage, scantinati, fabbriche in disuso. I macchinari per registrare si fanno più economici e raggiungibili per piccole produzioni : registratori ad otto piste, revox, teac, aprono la strada a metodi di registrazione più veloci ed economici. Le sedute di registrazione si fanno per necessità più rapide , così come nei brani tendono a sparire virtuosismi, leziosità. Il suono si fa più crudo, grezzo, rudimentale, quasi pornografico nel mostrare il corpo nudo di una musica fatta di pochi accordi e di forma minimalista, bruitiste. Allo stesso tempo la fenomenologia del suono si carica di effettistica, quasi a dare una lettura aliena, spersonalizzata, altra. Tutto si concentra sulla pasta, sulla grana, sulla tonalità (o atonalità nelle forme più oblique), sui filtri (come per un obiettivo fotografico), sulla manipolazione e sull'alterazione. Quindi non più una cascata di suoni e note (come nei dischi virtuosistici, fusion, tardo progressive) ma piuttosto un’unica goccia che cade ossessivamente e nel suo cadere concentra la nostra attenzione. Naturalmente ogni decade ha una sua effettistica, pensiamo ai vibrati, ai tremoli negli anni '60, alla distorsione nei '70 e ad un ampliarsi di possibilità cromatiche negli '80 con flanger, delay, chorus.. L'unica costante che rimane in questi passaggi è l'uso di effetti che possano allargare, dilatare, rendere profondo il suono: eco e riverbero. Dalla psichedelia, al dub giamaicano, dalla minimal alla drone music. Il sound design diventa elemento caratterizzante: in alcuni periodi, vedi punk e post-punk,  è  più importante dell'esecuzione stessa. Ecco perché assumono quasi una dimensione esoterica quei demo-tape su cassetta immersi in oceani di eco, risonanze, riverberi. Una profondità e una ambientazione (non a caso il rimando è all’ambient music del pioniere Eno) volutamente scura,  sconfinata, infinita che tende  alla ripetizione di se stessa, alla reiterazione della trance.

Eighties: Così, oggi, se penso ai miei brani dei primissimi ottanta mi tornano alla mente più che le strutture, le loro forme cangianti,  il loro vestito, i paesaggi sonici in cui si immergono. Quasi un lavoro archeologico, speleologico quello di andare a trovare ritmi, melodie precarie, slabbrate, fossiliformi, in mezzo a rumori, incidenti sonori, rifrazioni, dissonanze, tonalità incerte. Mi torna all'orecchio quel fruscio analogico tipico di quelle registrazioni grezze, fatte di echi scadenti che oggi magari suonano cool. Quegli stratagemmi rudimentali e di fortuna, veri e propri artifizi, come drum-machine filtrate dai pedalini per chitarra, come voci passate attraverso tubi di gomma per avere un effetto alieno, come sintetizzatori analogici suonati senza sincronizzazione e con massiccio uso di white e pink noise. La sporcizia, l'artificio, l'aleatorietà, che rivendica una umanità, una azione, una performance. Il passaggio successivo dalle cassette (che comunque manterranno una loro forma di condivisione e culto, specialmente in ambito industriale, sperimentale) sarà quello del vinile autoprodotto. Il gruppo diventa allora un’entità autosufficiente capace di autoprodursi, di trovare forme di promozione sfruttando il circuito indipendente di riviste, radio e un vero e proprio proliferare di agili organizzazioni di live e rassegne di nuova musica italiana. Realtà che ci hanno permesso di portare poi le nostre produzioni (merchandise compreso) in giro per l'Italia. Diciamo che ancora per tutti gli Ottanta i canali postali e lo spostamento fisico per raggiungere luoghi sono i modi per allargare l'orizzonte. Ricordo i primi album degli En Manque D'Autre registrati al TMB di Castelfranco, studio che si trovava in un sottinterrato di una cantina vinicola, da cui sono passati molti gruppi del punk e della wave italiana. Una volta pronti i bobinoni, visto che la registrazione avveniva su nastri, si partiva alla volta di Milano dove si trovavano le stamperie e l'industria discografica. Si facevano stampare vinili che in un secondo tempo sarebbero stati affidati a vari distributori come Toast, Disfunzioni, Wide, Contempo etc. e una capillare schiera di piccolissime realtà (negozietti, fanze, associazioni, locali, singoli) che facevano arrivare le tue produzioni in posti più decentrati. I percorsi per giungere alla realizzazione di un album in vinile risultavano  parecchio “pericolosi” e bastava qualche piccolo inconveniente o incidente tecnico per allungare tempi e pianificazioni. Si era un po' sospesi in una attesa fatalista e la tecnologia era ancora perfettibile: poteva capitare di dovere ripetere takes per ore in sala di registrazione, poteva deteriorarsi il nastro digitale su cui era impresso il tuo lavoro di mesi, poteva capitare che in fase di stampa si scoprissero incompatibilità di formati. Il tempo reale, l'immediatezza della rete digitale erano ancora solo un’ipotesi. Tornare a casa da Milano dopo circa un mese di spasmodica attesa era una liberazione, uno scampato pericolo e una felicità assoluta. Subito sarebbero iniziate le spedizioni a negozi, distributori, riviste specializzate, giornalisti, promoter. All'epoca una buona recensione su riviste che ancora avevano notevoli tirature poteva darti qualcosa in più in fatto di vendite e concerti. Molto importante era poi la grande varietà di fanzines e bollettini cartacei sparsi in giro per l'Italia. Iniziative encomiabili di singoli appassionati che facevano una oscura e costante opera di divulgazione e condivisione.  Gli En Manque D'autre in questo senso potevano contare sulle iniziative dell'amico Guido Lusetti che ci permetteva un contatto con le realtà indipendenti in campo editoriale, discografico, live. Molto frequentato era l'appuntamento del Meeting delle Etichette Indipendenti che si teneva ogni anno a Firenze presso la Fortezza da Basso. Firenze, all'epoca, era, con Bologna, una delle città in cui le avanguardie (non solo musicali ma anche in ambito teatrale, video, moda, arte figurativa, grafica, etc.) erano un esempio per chiunque fosse affamato di novità. Era una settimana - quella del M.E.I. - densa di appuntamenti, incontri, live, performance. Insomma in quei giorni si ritrovava tutta la scena alternativa (che anche numericamente era considerevole) un vero e proprio network pre-internet.  In occasione del meeting era veramente strategico rimanere lì per tutta la durata dell'evento, sia per allacciare rapporti, collaborazioni, sia per animare un senso di appartenenza oserei dire tribale e per vivere le fantastiche notti in cui era tutta la città di Firenze ad essere interessata da iniziative. Divenne quindi importante ogni volta affittare uno stand,  per presentare, fare conoscere, scambiare le proprie produzioni. Spesso condividendo spese e spazi con altri amici, etichette, realtà amiche. Ricordo con piacere la condivisione di spazi e nottate con il Kom-Fut Manifesto di Reggio Emilia con i quali ci eravamo gemellati. Anche dal punto di vista dell'attività live era strategico tessere relazioni con amici stimati con cui si instauravano rapporti fraterni: in particolare con i Gronge abbiamo condiviso palchi e situazioni in centri sociali e locali. Dobbiamo poi tanto al lavoro fatto da promoter come Giovanni Pennello Meli che ci fece suonare parecchio in giro, specialmente grazie all'iniziativa “Arezzo Wave on the Rocks”. C'erano poi figure di riferimento giornalistiche che ci hanno affettuosamente dato visibilità sulla stampa nazionale, cito su tutti Vittore Baroni. Di quel periodo degli En Manque D'Autre rimangono quattro album e un extended play : “I nuovi Arricchiti”, “Cianciulli”, “Noi siamo i Tecnovillani”, “Folk Acido” e “Comandante Straker” più qualche oscura compilation e demo carbonari.

Nineties: Nei '90 avviene un mutamento sia nelle tecnologie messe a disposizione per la registrazione, che nel rapporto con la discografia ufficiale. Non ultima è la diffusione di un nuovo supporto, il compact-disc. Abbiamo lo sviluppo dei primi programmi digitali che permettono di velocizzare i processi di fissaggio di tracce musicali, le possibilità di ripetizione infinita, le possibilità di manipolazione. Nascono nuove macchine sonore come il campionatore che ampliano in modo totale le capacità di utilizzo, riutilizzo e combinazione di fonti sonore. E' una ulteriore fase del cut-n-mix, del “taglia e cuci” che ha come punti di partenza la musica concreta, i compositori del ‘900, il dub giamaicano, i primi guru dell'electronica. Nascono nuove figure (ma anche qui il filo diretto e con esperienze fondamentali come il non-musicista Brian Eno): manipolatori, producer, sound-designer e naturalmente disc-jockey che diventano figure di riferimento e catalizzatori di nuove sonorità. Il passaggio al CD è un cambio che coinvolge aspetti sociologici-antropologici. I manufatti e le protesi adottate dagli esseri umani hanno sempre comportato accelerazioni nell’evoluzione, hanno messo in moto nuovi meccanismi cerebrali, hanno portato a mutamenti nella specie e il loro essere in un ambiente, in una società. Un cambio di frequenze, di oggetti, di modi di fruire l'opera d'arte. Il CD in un primo tempo porta alla sparizione del vinile, cambiando (per alcuni versi e con il senno di poi,  impoverendo prospettive) anche i meccanismi che gravitano intorno all'industria discografica. Ora la direzione è quella di “compattare”, “miniaturizzare”, “alleggerire”. Questo alleggerire coinvolge anche la veste grafica del manufatto, le informazioni contenute in esso e infine lo spettro di frequenze percepibili dal nostro orecchio. Da un punto di vista economico si riducono i costi in fase di produzione ma le major con questo nuovo formato hanno la possibilità di ristampare cataloghi interi e discografie di artisti storici. Il tema della duplicazione infinita diventa però contraddittorio perchè in un certo modo sfugge dal controllo delle multinazionali (o forse è volutamente messo in atto dalle stesse) con il diffondersi della pirateria informatica, che in alcuni casi diventa una ribellione al monopolio sulle opere ma porta con sé un diminuire delle possibilità per gli artisti di ricevere proventi dalle vendite dei loro dischi. Il CD diventerà quindi una forma di nuovo demo-tape in cui tende a stemperarsi e rendersi indistinguibile la differenza tra il prodotto di una major e quello di un gruppo autoprodotto. La tecnologia ha avvicinato i due estremi, ha democraticizzato i processi, ha reso superflua quella che era una filiera industriale: stampa, distribuzione, vendita.
Evidenti le trasformazioni nella fisiologia del suono, visto che la digitalizzazione ha comportato uno snaturarsi della forma audio e delle sue componenti. Nel CD si ha l'accentuazione delle frequenze medio-alte e un approccio al missaggio, all'equalizzazione, al mastering in funzione di cd-player meno sofisticati, in funzione della diffusione dei brani su network radiofonici che hanno bisogno di rese sonore che possano bucare ascolti distratti in grandi centri commerciali e non-luoghi. Brani che abbiano il “gancio” capzioso del ritornello entro il primo minuto di una composizione pop. L'ascolto di un fruitore attraverso walkmen, successivamente  I-pod e relative cuffiette, arriva a escludere l'aspetto più fisico della ricezione del suono che in un tempo precedente coinvolgeva altre parti del cervello e addirittura del corpo (vedi la nascita della stereofonia, gli studi sulla quadrifonia, l'olofonia, la ricerca della tridimensionalità del suono, i diffusori posti in una stanza, la sottolineatura delle basse frequenze). Per quanto riguarda il panorama indie anni '90, c'è da segnalare un intervento delle major che tenderanno a inglobare nuovi gruppi, nuove tendenze, nuove nicchie, creando organismi intermedi tra mercato indipendente e grande produzione. Una reazione a questa nuova invasione totalizzante e mimetica delle major è la nascita  di nuove pratiche  grazie ad una tecnologia cheap e diffusa. Un esempio è il fenomeno della bed-generation: progetti, condivisioni e diffusioni delle proprie opere grazie a internet, a siti, partendo direttamente da piccoli studi casalinghi. Vere e proprie cellule capaci di mettersi in connessione in tempo reale creando un sistema ancora una volta alternativo. Questo fenomeno coinvolge in primis la scena elettronica dei '90. In mezzo a queste dinamiche, major-indie, in Italia nasce una esperienza unica, figlia comunque della realtà indipendente anni '80 (CCCP e Litfiba, l'Attack Punk, IRA Records, etc) che ora si trova a ripensare una sua possibile espansione per trovare nuove vie e nuovi spazi. Assistiamo alla creazione di nuove “factory” come la Dischi del Mulo e nuovi consorzi di musicisti, produttori e operatori del settore, che uniscono le loro forze. Il Consorzio Produttori Indipendenti (I CSI in pratica: da una parte Massimo Zamboni e Giovanni Ferretti con la reggiana Dischi del Mulo, dall'altra Giovanni Maroccolo e altri protagonisti della Firenze '80)  sarà dunque per tutta la decade un riuscito esempio di indipendenza artistica e progettualità, pensata per raggiungere nuovi pubblici e nuove opportunità mediatiche. Il Consorzio stringe accordi con major come Polygram, Universal, Virgin etc., ha a disposizione budget consistenti per le proprie produzioni ma rimane artisticamente libero. Questa tensione tra indipendenza e mercato si rivela positiva e stimolante per i gruppi (CSI, Ustmamò, Marlene Kuntz, AFA, Disciplinatha, Santo Niente, Yo Yo Mundi etc) e i risultati non tardano a farsi vedere.  Pur avendo l'appoggio economico, distributivo, editoriale etc. il Consorzio è dotato di una propria struttura e ha una visione lungimirante nella fidelizzazione del proprio pubblico, informato da un bollettino (Il Maciste), stimolato da continue e inusuali collaborazioni incrociate, con una propria agenzia di booking, un proprio ufficio stampa, festival e appuntamenti che spesso mettono sullo stesso palco gli artisti della scuderia. In quegli anni le produzioni del Consorzio /Dischi del Mulo sono a ciclo continuo : album dei vari artisti, progetti di musica aliena  (“I Taccuini”) e compilation legate a progetti come “Materiale Resistente” o “Matrilineare”. Gli anni novanta si rivelano il momento di massima espansione per la musica alternativa italiana.  Il momento in cui, per un attimo, si è potuto pensare alla sopravvivenza di un mercato alternativo o addirittura all'approdo nel mainstream. Questo era dovuto anche all'aprirsi di diversi spazi e contenitori televisivi e radiofonici. E' stato il periodo in cui con gli AFA, sono apparso maggiormente su canali RAI o di altre emittenti nazionali. Questo offriva opportunità come quella di avere una regolare attività live, avere budget a disposizione per fare dischi, video, poter avere una propria progettualità. Inoltre per rimarcare la trasversalità tra maistream e indie, gli AFA si erano organizzati parallelamente alla distribuzione nazionale (che comunque era garantita dalla Polygram) con un proprio merchandise semovente (nel senso che ad ogni concerto si vendevano veramente tanti CD, dischi, magliette, etc). Avevamo una nostra rivista “Nomade Psichico” in cui si potevano esplorare altre tematiche extramusicali riguardanti la cultura cyber, il nomadismo, la psichedelia, le avanguardie, la letteratura off, lo sciamanesimo, l'antropologia etc. Si era creata una cerchia di persone (grafici, tecnici, creativi, teorici, videoartisti, internauti) con cui sinergicamente  si portavano avanti progetti. E' stato un periodo molto stimolante che ha segnato il nostro passaggio dal crossover di generi, dal folk acido, dal surrealismo (i primi due album “Acid Folk Allenza” e “Fumana Mandala”) alla nuova elettronica. Elettronica che,  in verità, per me è stato un costante interesse dal post-punk, passando per il kraut-rock e la minimal-music. Interessi che, negli anni novanta, si estendevano alle nuove tecniche di manipolazione mutuate dal dub, dalla musica concreta, dai compositori del 900, dalla pionieristica proto-elettronica dei primi sperimentatori. Diventa preponderante il processo del remix, dell'opera che si presenta in una sua infinita mutabilità. Quasi un processo alchemico, di innesti bio-meccanici, di ibridazione. Al pari del remissaggio, in ambito filosofico-scientifico-artistico fui investito dalla fascinazione delle teorie e ricerche futuribili sul post-umano, sulla manipolazione genetica, sul cyberpunk e la fantascienza interiore, sulle realtà virtuali. In particolare il clash tra arcaicità, nomadismo, trance,  neo-tribalismo e futuribilità entrarono nei dischi degli AFA da “Nomade Psichico” passando a “Manipolazioni”,  per terminare con l'ultimo album “Armonico”. In particolare l'album di remix “Manipolazioni” risulta essere un documento importante, non solo per la costruzione sonora, ma per l’allargamento a teorie estetiche, per il manifestarsi di forme nomadiche nelle arti in relazione alle nuove tecnologie e all'avvento della rete nell'era digitale (infatti nell'album sono ospitati interventi di critici, teorici e intellettuali come Bifo, Antonio Caronia, Francesca Alfano Miglietti, Arianna Dagnino etc).  Passando ad una visione più generale sulla decade e sugli AFA, posso dire che è stato un periodo di grandi opportunità che  hanno come inizio il contratto artistico con Zamboni e Ferretti e il disco d'esordio con la Sugar di Caterina Caselli. E hanno come termine il viaggio nel Kalahari tra i boscimani. In mezzo c'è tantissimo: centinaia di concerti, cinque album e una serie di compilation, opening act per Fishbone e Massive Attack, Materiale Resistente e la nuova Resistenza Culturale, tanta attenzione dai media, tanta voglia di sperimentare cercando però di allargare il nostro bacino di ascoltatori.

Zeroes: Con i cosiddetti anni zero si compie la completa  digitalizzazione della musica e si riconsiderano i supporti fisici che diventano oggetti da collezione, oggetti promozionali. Mentre si esauriscono le opportunità del mercato discografico e si ha un ripensamento dei modi di acquisizione e fruizione della musica. La musica diventa una voce, e nemmeno la più importante, nelle operazioni di marketing delle multinazionali che ora si concentrano su grandi operazioni, su grandi eventi, sui format. Molti artisti e non solo quelli più elitari o che fanno ricerca, si ritrovano ad essere allontanati dal grande mercato. Nello stesso tempo si aprono nuove strade per l'artista che sempre più dovrà diventare una entità multifunzionale: creare musica, certo, ma deve essere anche capace di utilizzare la rete, i social, i propri contatti, le nuove piattaforme offerte da siti, blog, web radio e web tv. La condivisione diventa elemento necessario, la comunicazione diretta con una propria fanbase è vitale, l'ubiquità nell'infosfera è una nuova forma di promozione virale. Saper gestire  le proprie pagine sui social network sono elemento imprescindibile, anche se a fare la differenza è sempre la creatività, l'invenzione, l'inaspettato. La condivisione non avviene più attraverso uno spartito o attraverso una jam in uno stesso luogo fisico ma ora attraverso la condivisione di file si tagliano drasticamente tempi e distanze. Anche dal punto di vista artistico queste nuove potenzialità informatiche hanno reso possibili collaborazioni che non sarebbero state possibili per artisti che non avessero avuto a disposizione budget e produzioni. Si può immaginare un’onnipotente jam globale. Tra le varie avventure dal 2000 in poi (Groove Safari, Roots Connection, Duozero, IRRS, Babel, Impresa Gottardo) con Ajello (duo formato con Luca, dj Rocca, Roccatagliati ) ho potuto sperimentare questa connessione globale. Un tessuto di terminazione nervose allacciate alle sinapsi digitali. Piccoli studi casalinghi, economici ma multifunzionali, iperconnessi, veloci in continuo collegamento con labels, web-stores, blogger.  In questo caso le fasi della composizione, della produzione, della distribuzione e promozione diventano un atto unico, un’azione unica, un unico click con cui si accede al mondo.

Tens: Oggi posso dire che, come in una struttura ad anello, come nel loop, siamo ritornati al “do it yourself”. E' come se fossi tornato ai miei primi dischi autoprodotti. La differenza è che non mi sposto più fisicamente per andare a stampare, non spedisco più i miei demo. Ora gestisco tutto questo immaterialmente, anche se a dire il vero, resiste  una enclave “analogica” che pare andare a braccetto con questa ipermodernità, vedi il riaffermarsi del vinile, l'uso di tecnologie retro, gli oggetti che si ripresentano come feticci (la cassetta), le estetiche grafiche delle fanzine e del ciclostile. Solamente che questo retro-futuro (citando il libro di Simon Reynolds “Retromania”) ora si manifesta su un piano orizzontale e non più verticale. Una dimensione in cui tutte le decadi, tutte le mode, i generi, le protesi sono disponibili e mescolate in un continuo unico, informe, atemporale. Qui, subito, ora. Tutto interscambiabile, condivisibile con un click, ipercinetico, così veloce, sfuggente, cangiante da non potere essere fissato su un unico supporto. Il Cloud è la tecnologia che ci permette di memorizzare, archiviare, elaborare dati in rete ma richiama anche fisicamente la nuvola e quindi turbolenza, caos, elettricità, correnti, addensamenti di materia, instabilità. Ecco questa instabilità e continuo movimento ci costringe a seguire i movimenti, i salti quantistici, come se fossimo cacciatori di nuvole. Un gruppo, un artista, deve riuscire a galleggiare tra queste nuvole, seguire il loro corso, le correnti ascensionali. Deve surfare sulle grandi onde di informazioni che rischiano di sommergerci in un overload. Occorre non opporre resistenza ma lasciarsi trascinare come nello Zen, nel fiume di input e stimolazioni sensoriali. Ribadisco ancora che è la creatività, la personalità, che può fare emergere in questo oceano di dati. L'operazione di crowdfunding messa in piedi per “Volare Basso”, può esserne un esempio: “Volare Basso” è non solo il titolo del mio ultimo lavoro in cui mi sono riavvicinato al formato canzone, al songwriting ma anche un manifesto concettuale-esistenziale, una dichiarazione d'intenti. Dopo anni in cui i miei dischi, tra major o indipendenti, venivano prodotti e dopo anni in cui erano disponibili budget per produrre, mi sono trovato improvvisamente a dover rivedere meccanismi ormai obsoleti e inattuali. C'era la necessità di trovare nuove formule, nuove strategie per continuare a produrre musica e trovare i fondi per coprire costi. Sono ripartito dal basso, ho annullato qualsiasi distanza con un possibile pubblico e sono ritornato ad una forma di baratto digitale. Ho scelto questa forma di finanziamento perché mi sembrava la più diretta, la più esplicita: significava mettere a nudo le esigenze dell’artista e del suo progetto. Rendere partecipi sin dalle prime elaborazioni i possibili fruitori, un pubblico che ti segue o una fanbase. E' come una operazione a cuore aperto che mostri e documenti il proprio corso. Certo qualche decade addietro e senza internet non sarebbe stato possibile portare avanti queste operazioni; è grazie all'avvento dei social, alla condivisione digitale, che si può costruire un progetto in tempo reale. Io ho proposto una nuova operazione confidando sul seguito (piccolo o grande che sia) che mi sono costruito negli anni; la risposta è stata assolutamente positiva e mi ha dato nuovi stimoli, nuove energie - giorno dopo giorno - mentre la campagna di fondi procedeva. Naturalmente devi essere trasparente, documentare e specificare ai tuoi raisers le spese che dovrai affrontare, a cosa ti servirà nel dettaglio la somma raccolta. Devi offrire una parte di te, offrire oltre che il tuo prodotto artistico, ricompense, personalizzazioni; credo che anche in questo caso la sincerità, la creatività, la sorpresa, abbiano giocato a mio favore. Io mi sono appoggiato alla piattaforma Music Raiser, specializzata nel crowdfunding musicale. Ormai di queste piattaforme ne esistono tantissime e ognuna ha una sua peculiarità; diciamo che Music Raiser mi è parsa quella più professionale, solida, praticata da altri musicisti che conoscevo e che avevano portato a termine la loro raccolta fondi. A quel punto, l'etichetta Lo Scafandro, diventa un marchio, un contrassegno artistico che accomuna dischi o manufatti di altri musicisti che apprezziamo, di amici che stimiamo. Un marchio che crei una comunità che possa unire le energie. La campagna di crowdfunding è stata anche un’opportunità di promozione per l'album; il continuo lavoro per seguire - nei due mesi di durata - la raccolta fondi ha creato attenzione, incuriosito, coinvolto. Questo coinvolgimento andava poi strategicamente sostenuto postando video, frammenti dell'operazione in corso, testimonianze, sostegni da parte di influencer, frammenti d'opera da centellinare prima di approdare al prodotto finito. In definitiva sono rimasto decisamente soddisfatto dell'operazione e credo che in questo momento sia una delle poche strade possibili. Ritornando alla mia nuova etichetta, Lo Scafandro, lanciata in occasione della mia opera solista: pur conoscendo il caos, le difficoltà attuali del fare arte, cultura, musica (specialmente in Italia) ho lanciato la mia piccola sfida, ho lanciato nell'iperspazio la mia navicella di salvataggio. La fondazione di una piccola label personale come “Lo scafandro” non vuole essere una operazione tecnicistica tesa a ripetere i meccanismi obsoleti della vecchia discografia (anche indie), ma è piuttosto un azzardo artistico, una provocazione, un gesto situazionista. Ci definiamo etichetta senza portafolio e agiamo in modo patafisico, random, epidermico. In questo caso è la stessa persona ad essere artista, produttore, promoter. Certo aldilà dei proclami poetici di prima, questo comporta un notevole dispendio di energie e a volte occorre affidarsi a strutture esterne più specialistiche (in particolare con i miei dischi sino ad ora mi sono affidato a uffici stampa esterni) ma garantisce il completo controllo e, cosa fondamentale, il coinvolgimento diretto di un pubblico. Rendere partecipi i futuri fruitori di un’opera in costruzione, fare di loro piccoli produttori (come se fosse un azionariato popolare) mettere in mostra le fasi e l'evoluzione di un progetto con link, file, post, messaggi. Insieme si costruiscono manufatti, oggetti, che potranno essere di forma digitale ma, come in un vortice temporale, anche oggetti culturali preziosi. Oggetti curati, artisticamente personalizzati, pensati per una rete tribale di persone che in un certo modo, tra le aggressive e invasive campagne di marketing totalizzante, si trovano a scegliere, a decidere cosa sostenere, cosa acquisire come proprio e cosciente arricchimento culturale.



Fabrizio Tavernelli, musicista, produttore, dj, scrittore, critico musicale, animatore culturale, politico obliquo nonchè presidente ANPI,  Tavernelli è un operatore artistico mediale in attività fin dagli anni ‘80. Diverse e multiformi le sue esperienze artistiche e musicali, tra le quali vogliamo ricordare AcidFolkAlleanza, Duozero, Ajello.