Nel 1961 appare la Storia della follia, che costituisce la tesi di dottorato di Michel Foucault. L’opera si presenta come un’“anti-storia” della psichiatria prima di essere riconosciuta, qualche anno più tardi, come un classico dell’antipsichiatria. Le storie classiche della psichiatria descrivevano, infatti, l’emergere di questa nuova scienza basandosi sul modello della rottura e della rivelazione scientifica. Alla fine del XVIII secolo, l’alienista Pinel avrebbe scoperto che i folli, considerati fino a quel momento dei criminali, delle persone possedute dal demonio, oppure delle bestie selvagge, e sottoposti ai trattamenti più degradanti (rinchiusi, incatenati), in realtà non erano altro che malati, ed era quindi necessario trattarli con umanità e dolcezza. In seguito all’introduzione di questo sguardo compassionevole e obiettivo (comprensivo) sulla follia, la psichiatria sarebbe passata di conquista in conquista, stabilendo dei quadri clinici definitivi e precisi, che descrivevano in maniera scientifica le forme, i tipi e le evoluzioni della malattia mentale.
Foucault rifiuta per diverse ragioni questa visione da conquistatrice della psichiatria. Innanzitutto perché la follia non costituisce per lui, di primo acchito, un oggetto medico. La follia è originariamente una decisione culturale complessiva, un modo di definirci come uomini di ragione, rigettando i folli dall’altra parte della separazione. Il che significa immediatamente che l’impresa di conoscenza sulla follia poggia su questo primo gesto di esclusione, e ne sarebbe l’ultimo prolungamento. (...)
Frédéric Gros - Nota sulla Storia della Follia - Aut Aut n.351 pg. 10