Sono trascorsi cinquant’anni dal giorno di maggio 1961 in cui Michel Foucault, dopo molte peripezie, disavventure e smarrimenti, che avevano condotto il manoscritto dagli uffici di Gallimard al tavolo di Philippe Ariès presso le edizioni Plon, era riuscito finalmente a pubblicare la sua thèse. Un lasso di tempo sufficiente, crediamo, per cominciare a interrogarci sui destini di un libro iniziato nella lunga “notte svedese” a Uppsala, proseguito “al grande sole ostinato della libertà polacca” a Varsavia e concluso nella quiete indifferente di Amburgo, e per chiederci in particolare come mai questo libro, dalle vicende editoriali tormentate anche in seguito (solo di recente i lettori di lingua inglese hanno finalmente potuto leggere l’edizione integrale del testo, e solo nel 2011 il lettore italiano potrà finalmente disporre di un’edizione senza tagli e omissioni) si sia a sua volta registrato in maniera tanto controversa e contraddittoria nello spazio della nostra cultura e del nostro pensiero. Un lasso di tempo che ha scavato comunque la necessaria distanza storica a partire dalla quale ripensare criticamente la straordinaria inventività e produttività di un libro che, come ha scritto Georges Canguilhem, dovrà essere giudicato essenzialmente come “evento”, in ragione degli “effetti” che avrà prodotto. Effetti (o loro mancata produzione) che abbiamo voluto cominciare a cartografare con questo numero di “aut aut”.
(cfr. Aut Aut n. 351 - Pg. 3)